Analisi dell’Intolleranza verso 90 Alimenti

Analisi dell’Intolleranza verso 90 Alimenti

 L’importanza della diagnosi

Riconoscere i cibi non tollerati offre la possibilità di avviare una dieta personalizzata che permette di eliminare i disturbi ed evita lo sviluppo di nuove intolleranze.

Inoltre, l’eliminazione dell’alimento risultato positivo al test dalle proprie abitudini alimentari consente un netto miglioramento delle proprie condizioni di salute.

Allergie e intolleranze  

Mentre nelle allergie alimentari il rilascio di anticorpi IgE avviene in breve tempo (da 10 minuti a 2 ore dopo l’assunzione dell’alimento), nelle intolleranze alimentari si assiste ad una reazione immunologica lenta (da 1 a 36 ore dopo l’assunzione dell’alimento), che provoca una sintomatologia generale sfumata che può comprendere stanchezza, cefalea, gonfiori addominali post-prandiali, orticaria ecc,… Spesso si tratta di effetti di difficile riconoscibilità e che incidono notevolmente sulla qualità della vita.

Cosa sono le intolleranze alimentari

L’intolleranza alimentare è un’ipersensibilità verso una particolare sostanza o un alimento che provoca una reazione mediata da anticorpi IgG.Le intolleranze sono spesso causa di una serie di disturbi che hanno originedall’incapacità dell’organismo di tollerare alcuni alimenti. Diversamente dalle allergie (la cui risposta è IgE-mediata) i sintomi dipendono dalla quantità e dalla frequenza con cui si assume l’alimento non tollerato. Diversamente dalle allergie, la cui risposta è IgE-mediata, i sintomi dipendono dalla quantità e dalla frequenza con cui si assume l’alimento non tollerato.

intolleranze tabella

Patologie Cardiovascolari (Trombofilia Ereditaria)

Patologie Cardiovascolari (Trombofilia Ereditaria)

Pannello Trombofilia 13 mutazioni
Diagnosi Molecolare di Trombofilia Ereditaria mediante Analisi di Mutazione dei Geni del Fattore V, Fattore II e MTHFR, AGT, ACE; APO E, APOB, Fattore XIII, PAI-1, HPA, Beta Fibrinogeno
 Bioheart
Le trombofilie ereditarie (predisposizione genetica alla trombosi) sono un gruppo di patologie caratterizzate dalla tendenza a soffrire di episodi trombotici. Si ha un evento trombotico, venoso o arterioso, quando il sangue (anche in piccole quantità) si coagula all’interno di un vaso sanguigno, aderisce alla sua parete e lo ostruisce in maniera parziale o completa, impedendo il flusso del sangue. Il coagulo prende il nome di trombo.

Nella maggior parte dei casi si tratta di difetti o alterazioni di uno o più fattori della coagulazione del sangue. La coagulazione e’ un processo molto complesso che prevede l’intervento in successione di molti fattori (proteine) diversi. Si tratta di un evento a cascata, una specie di reazione a catena.

I geni, oggi noti, di suscettibilità alla trombosi sono delle varianti geniche (mutazioni puntiformi ad un singolo nucleotide) che presentano una tale frequenza nella popolazione da essere considerate delle varianti polimorfiche. I geni in considerazione sono quelli relativi al fattore V di Leiden, al fattore II della coagulazione (protrombina) ed il gene MTHFR (Metilentetraidrofolatoreduttasi. Altri geni sono stati associati a stati trombotici, tra i quali: Fattore XIII, Beta Fibrinogeno, PAI-1, HPA, HFE, APO E, ACE, AGT.

Lo studio delle varianti geniche di questi tre geni è indicata in:

  • Soggetti con precedenti episodi di tromboembolismo venoso o trombosi arteriosa;
  • Donne che intendono assumere contraccettivi orali;
  • Donne con precedenti episodi di trombosi in gravidanza;
  • Donne con poliabortività · Donne con precedente figlio con DTN ( difetto tubo neurale);
  • Gestanti con IUGR, tromboflebite o trombosi placentare;
  • Soggetti diabetici.

Trombofilia e Abortività

I fenomeni di abortività in gravidanza sono purtroppo eventi non rari. Mentre le alterazioni ormonali, immunitarie, uterine, e cromosomiche rientrano ormai come possibili cause di aborti ripetuti, recenti studi si orientano verso una nuova direzione: la genetica dei fattori della coagulazione del sangue.

Le donne sofferenti di trombofilia ereditaria, eccessiva coagulazione causata da un’anomalia genetica, sono infatti la categoria più a rischio di aborto in utero a gravidanza avanzata. Nella maggior parte dei casi la morte del feto è causata da alterazioni geniche di uno o più fattori della coagulazione del sangue che determinano l’instaurarsi di una trombosi placentare, caratterizzata da una ostruzione dei vasi sanguigni placentari.

Dal punto di vista della trasmissione genetica, la maggior parte dei difetti trombofilici si presenta in forma eterozigote e si trasmette con modalita’ autosomica dominante a penetranza incompleta. Le persone affette hanno una possibilità su due di trasmettere la predisposizione alla malattia ai figli, indipendentemente dal sesso. In gravidanza, una condizione genetica di eterozigosi o omozigosi per uno o più di questi geni è considerata predisponente all’aborto spontaneo.

Descrizione dei geni investigati:

FATTORE V di LEIDEN

Il fattore V attivato è un cofattore essenziale per l’attivazione della protrombina (fattore II) a trombina. Il suo effetto pro-coagulante è normalmente inibito dalla Proteina C attivata che taglia il fattore V attivato in tre parti. Un sito di taglio è localizzato nell’aminoacido arginina alla posizione 506.
Una mutazione del gene che codifica per il fattore V, a livello della tripletta nucleotidica che codifica per l’arginina in 506 ( nucleotide 1691), con sostituzione di una G (guanina) con una A ( adenina), comporta la sostituzione dell’arginina con un altro aminoacido, la glutammina che impedisce il taglio da parte della Proteina C attivata. Ne consegue una resistenza alla proteina C attivata (APC) nei test di laboratorio ed una maggiore attività pro-coagulante del fattore V attivato che predispone alla trombosi. Tale variante G1691A è definita variante di Leiden (località in cui fu scoperta), ed ha una frequenza genica dell’ 1,4-4,2% in Europa con una frequenza di portatori in eterozigosi in Italia pari al 2-3%, mentre l’omozigosità per tale mutazione ha un’incidenza di 1:5000. I soggetti eterozigoti hanno un rischio 8 volte superiore di sviluppare una trombosi venosa, mentre gli omozigoti hanno un rischio pari ad 80 volte. Tale evento trombotico è favorito in presenza di altre condizioni predisponenti quali la gravidanza, l’assunzione di contraccettivi orali (rischio aumentato di 30 volte negli eterozigoti e di alcune centinaia negli omozigoti), gli interventi chirurgici. In gravidanza una condizione genetica di eterozigosi per il Fattore Leiden è considerata predisponente all’aborto spontaneo, alla eclampsia, ai difetti placentari , alla Sindrome HELLP (emolisi, elevazione enzimi epatici, piastrinopenia).
Tali manifestazioni sarebbero legate a trombosi delle arterie spirali uterine con conseguente inadeguata perfusione placentare. I soggetti portatori di mutazione del Fattore V di Leiden dovrebbero pertanto sottoporsi a profilassi anticoagulativa in corso di gravidanza o in funzione di interventi chirurgici ed evitare l’assunzione di contraccettivi orali.

FATTORE II (Protrombina)

La protrombina o fattore II della coagulazione svolge un ruolo fondamentale nella cascata coagulativa in quanto la sua attivazione in trombina porta alla trasformazione del fibrinogeno in fibrina e quindi alla formazione del coagulo.

E’ stata descritta una variante genetica comune nella regione non trascritta al 3′ del gene che è associata ad elevati livelli di protrombina funzionale nel plasma e conseguente aumentato rischio di trombosi, specie di tipo venosa. Trattasi di una sostituzione di una G (guanina) con una A (adenina) alla posizione 20210 (G20210A), una regione non trascritta del gene dalla parte del 3′ che è sicuramente coinvolta nella regolazione genica post-trascrizionale, quale la stabilità dell’RNA messaggero o con una maggiore efficienza di trascrizione del messaggero stesso.

La frequenza genica della variante è bassa (1,0-1,5%) con una percentuale di eterozigoti del 2-3%. L’omozigosi è rara. Per gli eterozigoti c’è un rischio aumentato di 3 volte di sviluppare una trombosi venosa, di 5 volte per l’ictus ischemico, di 5 volte per infarto miocardico in donne giovani, di 1,5 volte per gli uomini, di 7 volte nei diabetici, di 10 volte per trombosi delle vene cerebrali e di 149 volte in donne che assumono contraccettivi orali.

MTHFR (Metilentetraidrofolatoreduttasi

La metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) è un enzima coinvolto nella trasformazione del 5-10 metilentetraidrofolato in 5 metiltetraidrofolato che serve come donatore di metili per la rimetilazione della omocisteina a metionina tramite l’intervento della vitamina B12.
Rare mutazioni ( trasmesse con modalità autosomica recessiva) possono causare la deficienza grave di MTHFR con attività enzimatica inferiore al 20% e comparsa di omocisteinemia ed omocistinuria e bassi livelli plasmatici di acido folico. La sintomatologia clinica è grave con ritardo dello sviluppo psico-motorio e massivi fenomeni trombotici.
Accanto alla deficienza grave di MTHFR è stato identificato un polimorfismo genetico comune, dovuto alla sostituzione di una C (citosina) in T (timina) al nucleotide 677 (C677T), che causa una sostituzione di una alanina in valina nella proteina finale ed una riduzione dell’attività enzimatica della MTHFR pari al 50% ,fino al 30% in condizioni di esposizione al calore (variante termolabile).Tale variante comporta livelli elevati nel sangue di omocisteina specie dopo carico orale di metionina. La frequenza genica in Europa della mutazione è del 3-3,7% che comporta una condizione di eterozigosi in circa il 42-46% della popolazione e di omozigosi pari al 12-13%. Recentemente, una seconda mutazione del gene MTHFR (A1298C) è stata associata ad una ridotta attività enzimatica (circa il 60% singolarmente; circa il 40% se presente in associazione alla mutazione C677T). Questa mutazione, in pazienti portatori della mutazione C677T, determina un’aumento dei livelli ematici di omocisteina.
Livelli aumentati di omocisteina nel sangue sono oggi considerati fattore di rischio per malattia vascolare, (trombosi arteriosa) forse attraverso un meccanismo mediato dai gruppi sulfidrilici sulla parete endoteliale dei vasi. Inoltre in condizioni di carenza alimentare di acido folico la variante termolabile della MTHFR porta a livelli molto bassi l’acido folico nel plasma ed è pertanto un fattore di rischio per i difetti del tubo neurale nelle donne in gravidanza. Condizioni di eterozigosi doppia, specie con la variante Leiden del fattore V comporta o della variante 20210 della protrombina, può aumentare il rischio relativo per il tromboembolismo venoso, già alto per la presenza dell’altra variante.

PLASMINOGEN ACTIVATOR INHIBITOR 1 (PAI-1): mutazione 1-BP DEL/INS, 4G/5G

A livello della regione promotore del gene PAI-1 è presente un polimorfismo del tipo insezione/delezione di una G (4G/5G). Alcuni studi hanno dimostrato che il genotipo 4G/4G è associato a livelli plasmatici elevato di PAI-1, con conseguente rischio di malattie coronariche, e nelle donne in gravidanza aumentato rischio di preeclampsia.

FATTORE XIII: Polimorfismo VAL34LEU (V34L)

Uno stato di omozigosi per un particolare polimorfismo del gene del Fattore XIII (F13A1), consistente in transizione G->T a livello dell’esone 2 del gene, con conseguente variazione aminoacidica  leucina -> valina a livello del  codone 34, che è molto prossimo al sito di attivazione della trombina, è stata associata a un aumento elevato dell’attività di questo enzima.  La presenza di tale mutazione in omozigosi, quindi, rappresenterebbe un fattore protettivo contro trombosi venose.

Human Platelet Alloantigens (HPA)

La genotipizzazione dello Human Platelet Alloantigens (HPA) permette di distinguere le due forme alleliche Pl (A1) e Pl (A2) determinate dal polimorfismo Leu33Pro, consistente in una variazione nucleotidica da T(A1) a C (A2) in posizione 1565, esone 2 del gene ITGB3, con conseguente variazione aminoacidica Leu->Pro a livello del codone 33. <br>
Differenti studi hanno associato la presenza di almeno un allele Pl (A2) a stati di ipercoagulazione, con conseguenti complicanze trombotiche venose.

Beta Fibrinogeno (FGB): polimorfismo  -455G-A

Un polimorfismo presente nella regione promotore del gene del beta Fibrinigeno (FGB),  consistente in una transizione  G->A in posizione nucleotidica -455, è associato con livelli plasmatici elevati di Fibrinogeno.

HFE 

HFE è il gene responsabile dell’Emocromatosi. HFE contiene l’informazione per la produzione di una proteina importante nella regolazione dell’assorbimento del ferro, anche se la sua funzione esatta è ancora in corso di studio. Nelle persone affette da Emocromatosi, questo gene contiene delle alterazioni (mutazioni), che ne alterano la funzione. Due mutazioni principali sono state identificate in questo gene, e denominate con le sigle: C282Y e H63D (queste sigle indicano in modo più specifico il tipo di alterazione: ad esempio C282Y significa che è mutato l’aminoacido in posizione 282). La maggioranza dei pazienti affetti da EC (dal 64 al 95 % a seconda delle popolazioni esaminate) ha ereditato da entrambi i genitori la mutazione C282Y, e quindi possiede questa mutazione in entrambe le copie del cromosoma 6. Un numero inferiore di persone affette ha invece una mutazione C282Y in un cromosoma 6 e una mutazione H63D nell’altro; queste persone hanno quindi ereditato mutazioni diverse da ciascuno dei genitori. Infine, alcune persone possiedono due copie del cromosoma 6 con la mutazione H63D, che in genere non determina un sovraccarico di ferro, a meno che non siano presenti altre cause di sovraccarico, come un eccessiva assunzione di alcool, un’anemia emolitica concomitante, un trattamento prolungato con ferro.

Apolipoproteina E (APO E)

L’Apolipoproteina E (APOE) è una proteina plasmatica, coinvolta nel trasporto del colesterolo, che si lega alla proteina amiloide, e della quale esistono tra diverse forme: APOE2, APOE3 ed APOE4, codificate da tre diversi alleli (E2, E3, ed E4). Le apolipoproteine  svolgono un ruolo fondamentale nel catabolismo delle lipoproteine ricche di trigliceridi e colesterolo. Recenti studi clinici fanno dimostrato che l’allele 4 (APOE4) è più frequente nelle persone affette da malattia di Alzheimer rispetto a quelle sane. La presenza del genotipo APOE4, anche in eterozigosi, determinerebbe un aumento di circa 3 volte del rischio di sviluppare la malattia nelle forme ad esordio tardivo, familiari e sporadiche.

Angiotensin Converting Enzyme (ACE)

A livello dell’introne 16 del gene ACE è presente un polimorfismo del tipo Inserzione/Delezione (I/D). Tale polimorfismo  è dovuto alla presenza (allele I – Insertion) o assenza (allele D-Deletion) di una sequenza ripetuta Alu di 287 bp, e può produrre tre differenti genotipi:
II = Inserzione in omozigosi
ID = Eterozigosi per Inserzione/Delezione
DD = Delezione in omozigosi.
Differenti studi hanno associato il genotipo DD con un incremento del rischio di patologie cardiovascolari, a causa di un conseguente aumento dei liveli plasmatici di ACE (doppi rispetto ai soggetti con genotipo II).

ANGIOTENSINOGENO (AGT)

Il gene AGT controlla la produzione di angiotensinogeno, una proteina che svolge un ruolo determinante nel sistema renina-angiotensina (RAS), sistema questo che regola la pressione arteriosa e quindi la funzionalità cardiaca. In alcune persone il RAS è iperattivo, provocando quindi problemi al cuore e pressione arteriosa alta.
L’alterazione (mutazione) di una regione specifica del gene AGT è associata ad un elevato rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari e di alcune forme di ipertensione.
Il gene AGT, in una determinata regione, presenta due varianti (polimorfismo), denominate T ed M. Quando è presente la variante T, l’aminoacido metionina è sostituito dall’aminoacido treonina nella posizione 235 del polipeptide angiotensinogeno, da cui la designazione M235T.
Poiché ciascun individuo eredita una copia del gene da ciascun genitore, egli potrà presentare due copie della variante T (individuo T/T omozigote); una copia di ciascuna delle due varianti (individuo T/M eterozigote); oppure due copie della variante M (individuo M/M omozigote).
La forma T235 del gene (cioè la presenza dell’aminoacido treonina a posto dell’aminoacido metionina in posizione 235) è associata con un incremento del rischio di patologie a carico delle arterie cardiache e con alcune forme di ipertensione.
Il test molecolare assume un’importanza fondamentale nella diagnosi precoce delle CVD. Il polimorfismo T235, in particolare, si è rivelato un importante fattore di rischio per lo sviluppo di patologie cardiache e di alcune forme di ipertensione.
Diversi studi hanno, infatti, dimostrato che il rischio i pazienti che presentano una forma alterata del gene AGT (genotipo T/T) hanno un rischio circa 3 volte maggiore di sviluppare patologie cardiovascolari, quali coronopatie, infarti miocardici, arteriosclerosi e cardiomiopatie ipertrofiche, rispetto ai pazienti con gene normale.
Il test molecolare, inoltre, identifica i soggetti che presentano una forma di ipertensione sodio-sensibile (pazienti con genotipo T/T). Questi pazienti possono quindi trarre notevoli benefici dall’applicazione di una strategia terapeutica che riduce l’apporto di sodio nella dieta, raggiungendo una significativa diminuzione della pressione arteriosa senza la necessità di ricorrere ad una terapia farmacologica.
L’analisi del gene AGT può inoltre aiutare i medici ad individuare una adeguata terapia da adottare prevedendo la risposta dei pazienti ai trattamenti terapeutici con agenti antiipertensivi. Nei pazienti che presentano un genotipo T/T e T/M, a differenza di quelli con genotipo M/M, si osserva, infatti, un’evidente riduzione della pressione del sangue, sia sistolica che diastolica, in risposta all’uso di ACE -inibitori (Angiotensin Converting Enzyme).

trombo muazioni piccolo

Screening per il tumore al seno e alle ovaie

Screening per il tumore al seno e alle ovaie

La rilevazione precoce delle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 che prediscpongono alla contrazione del cancro al seno e alle ovaie, può salvare la vita.

Facile: Il campione di DNA necessario all’analisi viene raccolto attraverso un tampone buccale. Il test può essere effettuato autonomamente a casa e non è né invasivo né doloroso

Completo: Sequenziamento completo dei geni BRCA1 e BRCA2 · Rilevazione di tutte le mutazioni patologiche

Accurato: Alta sensibilità e specificità · Processi chiave certificati CE-IVD e ISO13485 ·

Rapido: Le donne di tutte le età sono eleggibili per questo test di screening · La rilevazione precoce permette un’azione preventiva più efficace per il benessere di tutta la famiglia

Veloce: Risultati disponibili in 2 settimane, senza stressanti attese

I più eminenti scienziati sostengono che lo screening genetico dei geni BRCA1 e BRCA2 dovrebbe rientrare nella normale routine medica per le donne a partire dai 30 anni. La rilevazione precoce delle possibili mutazioni è di estrema importanza per la prevenzione del cancro.

Tutti i tumori hanno origine genetica – Rilevazione Precoce = Prevenzione Effettiva

Il cancro è una malattia grave dovuta all’anomala mutazione di geni specifici che inducono le cellule a crescere in maniera incontrollata e anomala, uccidendo le cellule normali e diffondendosi ad altre parti del corpo.

Il cancro al seno è la tipologia di tumore più letale per le donne in tutto il mondo, con oltre 1.676.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno, è il tumore più comune in Europa (500.000 nuovi casi ogni anno) con crescenti tassi di incidenza. Esso colpisce 1 donna su 8 (~ 12%) ed è fortemente correlato all’età. Il 5-10% dei tumori al seno sono ereditari.

Il cancro ovarico è la quinta tipologia di tumore più comune nelle donne in tutta Europa, con oltre 65.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno. Esso colpisce 14 donne su 1000 (~ 1,4%) ed è fortemente correlato all’età. Circa il 15% dei tumori ovarici sono ereditari.

Rischio di sviluppare un cancro nel corso della vita

MaschioSoggetto Maschile (Proiezione)FeminaSoggetto Femminile (Proiezione)PersonePersone (Proiezione)

Le mutazioni BRCA1 e BRCA2 sono i fattori di rischio più significativi per il cancro al seno e alle ovaie.

I geni BRAC1 e BRCA 2 (BR=Breast, CA=Cancer) sono stati identificati per la prima volta negli anni ’90 e rappresentano i fattori di rischio genetico più significativi e caratterizzanti il rischio di sviluppare un tumore al seno e alle ovaie.

Questa scoperta ha cambiato radicalmente la gestione dei casi ereditari di tumore al seno e alle ovaie.

Le mutazioni congenite nei geni BRCA1 e BRCA2 rappresentano la causa più comune di tumore al seno ereditario, e concorrono ad aumentare il rischio di sviluppare altri tumori sia negli uomini che nelle donne.

Questa scoperta ha cambiato radicalmente la gestione dei casi ereditari di tumore al seno e alle ovaie.

Aumento del rischio di cancro al seno o alle ovaie dovuto a mutazioni BRCA

Cancro OvaricoCancro al SenoRisco di cancro da 70 anni (%)Portatore del BRCA2Portatore del BRCA2

Prevenzione sicura e precoce per l’intera famiglia.

Le implicazioni legate all’identificazione di una mutazione dei geni sono di vasta portata e comprendono non solo il rischio fisico che tu o qualcuno nella tua famiglia possa sviluppare un tumore, ma anche l’impatto psicologico e finanziario che tale consapevolezza può avere su tutta la famiglia.

I parenti di primo grado di un portatore dei geni BRCA hanno un rischio molto più elevato di sviluppare la malattia.Ciascun figlio di un genitore portatore della mutazione dei geni BRCA ha una probabilità del 50% di ereditare tale mutazione. La presenza di un membro della famiglia di 40 anni affetto da cancro al seno, fa aumentare ulteriormente il rischio per il resto della famiglia.

Circa il 50% delle donne con mutazioni BRCA1 o BRCA2 non hanno una storia familiare di tumore al seno o alle ovaie, quindi, non sono a conoscenza delle mutazioni che causano il cancro. Un sondaggio ha rivelato che solo il 19% dei medici di base statunitensi valutano accuratamente la storia familiare nell’ambito dell’analisi dei geni BRCA1 e BRCA2.

Il Test rileva le mutazioni ereditarie e non ereditarie (“de novo”), favorendo l’adesione a programmi di prevenzione e a terapie personalizzate.

Donne con mutazioni BRCA ereditarie

Circa
50%

Avere
no famiglia
anamnesi di
cancro

Circa
50%

Avere
famiglia
anamnesi di
cancro

Un prodotto di grande efficienza grazie al sequenziamento di nuova generazione

A. Estrazione del DNA dal tampone buccale
B. Sequenziamento dei frammenti di DNA codificanti i geni BRCA1 e BRCA2.
C. Sequenziamento della libreria tramite NGS (Next Generation Sequencing).
D. Analisi delle informazioni di sequenziamento tramite sistemi di bioinformatica.
E. Analisi della/e variante/i rilevata/e per determinale la loro patogenicità.

 

Amniocentesi non invasiva

Amniocentesi non invasiva

Test del DNA fetale privo di rischi per rilevare la Sintrome di Down e le anomalie cormosomiche più comuni

Sicuro: Eseguito su un semplice prelievo di sangue materno

Completo: Trisomia 21 (Sindrome di Down), 18, 13 (certificato CE-IVD) · Anomalie numeriche dei cromosomi sessuali · Microdelezioni · Baby’s sex

Accurato: Elevata sensibilità e specificità . Calcolo della frazione fetale.

Rapido: Dalla 10a settimana di gravidanza (dalla 12a in caso di gravidanza gemellare)

Comodo: Il campione di sangue può essere analizzato ogni giorno dell’anno

Veloce: Risultati disponibili in 5 giorni lavorativi dalla ricezione del campione nel nostro laboratorio di Ginevra

Le associazioni mediche concordano nel sostenere che a tutte le donne in attesa di un bambino dovrebbe essere offerta la possibilità di effettuare uno screening/diagnosi prenatale delle anomalie fetali e che il Test Prenatale Non Invasivo (NIPT) rappresenti un importante passo in avanti nell’ambito delle metodologie di screening.

Sindrome di Down, Trisomie, Anomalie Cromosomiche

Le anomalie cromosomiche si manifestano quando un individuo presenta un’alterazione nel numero di coppie di un determinato cromosoma. Tre coppie sono indice di Trisomie (come la trisomia 21 più comunemente conosciuta come sindrome di Down). In caso di cromosomi mancanti, le malattie sono chiamate monosomie. Il Test è in grado di rilevare tali alterazioni cromosomiche in maniera accurata.

Trisomia 21 (1 ogni 700 neonati7) sindrome di Down è l’anomalia cromosomica più frequentemente riscontrata al momento della nascita. È associata a disabilità mentali gravi o moderate e può causare malformazioni all’apparato digerente e cardiaco.

Trisomy 18 (1 ogni 5.000 neonati8) o sindrome di Edwards, è associata ad un alto tasso di aborti spontanei. I bambini nati con la sindrome di Edwards possono manifestare varie malformazioni ed avere una aspettativa di vita ridotta.

Trisomia 13 (1 ogni 16.000 neonati9) o sindrome di Patau, è associata ad un alto tasso di aborti spontanei. I bambini nati con la trisomia 13 presentano solitamente gravi difetti cardiaci congeniti e altre patologie. É rara la sopravvivenza oltre il primo anno di vita.

Alterazioni dei cromosomi sessualiI cromosomi sessuali (X e Y) determinano il sesso del neonato. Le alterazioni legate ai cromosomi sessuali si manifestano quando l’individuo presenta una coppia mancante, in più o incompleta di uno dei cromosomi sessuali. Le principali combinazioni anomale sono XXX, XYY, XXY (sindrome di Klinefelter) e la monosomia X (sindrome di Turner). Gli individui affetti da tali sindromi possono presentare disturbi fisici e comportamentali, la cui gravità può variare sensibilmente da soggetto a soggetto 10,11

Sindrome di Down Trisomia – 21

1 2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 XX XY
Aneuploidia Trisomia 21 Trisomia 18 Trisomia 13 XXX XYY XXY Monosomia X
Sindrome Down’s Edwars Patau Trisomia X Jacobs Klinefelter Turner
Frequenza 1/700 1/5000 1/16000 1/10000 1/1000 1/1000 1/2500

Le anomalie strutturali comprendono una mancanza o una delezione di una porzione del cromosoma.

Le Microdelezioni si manifestano quando un segmento di un cromosoma presenta una piccola delezione di geni. Le sindromi da microdelezione sono delle patologie clinicamente riconoscibili, caratterizzate da un complesso fenotipo clinico e comportamentale e includono la sindrome di DiGeorge, la sindrome del Cri du Chat e la sindrome di Prader-Willi.

L’età della madre è associata in modo significativo alle trisomie fetali.

Created with Highcharts 4.0.3%Rischio stimato per le trisomie in relazione all’etàmaterna a 12 settimane di gestazioneTrisomy 21 Down SyndromeTrisomy 18Trisomy 132030323640420123-1Highcharts.com

Oltre alla predisposizione genetica, con l’età aumentano i rischi legati alla gravidanza. Il grafico che segue mostra una crescita esponenziale del rischio di alcune trisomie con l’età.

La soluzione più affidabile:

Sicuro al 100%, Alta Sensibilità > 99.9%, Alta Specificità > 99.9%
Sequenziamento di Nuova Generazione (NGS)

Il DNA fetale è rilevabile a partire dalla 5ª settimana di gestazione. La sua concentrazione aumenta durante le settimane successive e scompare dopo il parto. La quantità di DNA fetale in circolo dalla decima settimana di gestazione è sufficiente a garantire la massima specificità e sensibilità del Test.

Il Sequenziamento di Nuova Generazione (NGS) o sequenziamento massivo in parallelo del DNA, una delle più moderne tecnologie disponibili per l’analisi genetica, viene utilizzato per contare il numero di coppie dei cromosomi. Attraverso l’utilizzo di uno specifico algoritmo di calcolo è, quindi, possibile rilevare la presenza di anomalie nel numero di coppie dei cromosomi.

Effettuata l’estrazione del DNA dal campione di sangue maternale ed effettuato il sequenziamento, l’algoritmo di calcolo permette di conoscere il numero di copie di ogni cromosoma assicurando un risultato piu’ accurato.

La probabilità di ottenere falsi positivi o negativi è, quindi, estremamente bassa. Tale precisione dei risultati è molto importante perché eviterà alla pazientenella maggior parte dei casi di ricorrere all’amniocentesi, una procedura invasiva che presenta un rischio di aborto spontaneo.

Le caratteristiche più importanti sono15

Alta sensibilità > 99.9%

É in grado si evitare falsi negativi in modo molto accurato. Questi ultimi rappresentano il rischio di ottenere un risultato negativo quando, invece, il bambino è realmente affetto da una patologia.

Alta Specificità > 99.9%

É capace di evitare falsi positivi. Questi ultimi possono comportare il rischio di ricorrere ad una rischiosa amniocentesi anche quando il bambino non ha alcuna anormalità.

A. Purificazione dei frammenti di DNA estratti dal sangue materno.
B. Preparazione dei frammenti di DNA per costituire una libreria ad hoc.
C. Immobilizzazione della libreria sul supporto del sequenziamento.
D. Sequenziamento della libreria tramite NGS (Next Generation Sequencing).
E. Analisi delle informazioni di sequenziamento tramite bioinformatica.
Trisomia SENSIBILITÁ SPECIFICITÁ
21 > 99.9% > 99.9%
18 > 99.9% > 99.9%
13 > 99.9% > 99.9%

Altri test prenatali in uso: limiti & rischi

Il test combinato

L’attuale tecnica diagnostica consiste in un test combinato seguito, eventualmente, dall’amniocentesi.

Il Test Combinato è una procedura di screening eseguita nel 1° trimeste e basata su:

  • Età della madre
  • Translucenza nucale (misurazione della nuca del feto per mezzo di ultrasuoni)
  • Controllo sierologico o Bi-Test (PAPP-A, β-HCG Libero)

Il test combinato è meno affidabile e presenta un’alta possibilità di falsi positivi e falsi negativi.

Falso Positivo: comporta il rischio di amniocentesi anche quando il bambino non ha alcun problema.

Falso Negativo: comporta il rischio di avere un risultato negativo anche quando il bambino è affetto da una patologia.

L’amniocentesi è una procedura di diagnosi che viene utilizzata per confermare la presenza o l’assenza di anomalie cromosomiche.

FALSO POSITIVO del “test combinato”

Su 20 donne che risultano positive allo screening biochimico, solo una darà alla luce un bambino affetto da sindrome di Down.

FALSO NEGATIVO del “test combinato”

Su 20 donne che aspettano un bambino affetto da sindrome di Down, 3-4 risulteranno negative al “test combinato”

Cosa è l’amniocentesi.

L’amniocentesi si effettua, solitamente, tra la 15^ e la 18^ settimana di gravidanza. Utilizzando un apposito ago, si estrae un campione di liquido amniotico (il liquido che circonda il feto nel grembo materno). Il liquido amniotico contiene le cellule rilasciate dal feto che possono, così, essere analizzate per verificare l’eventuale presenza di patologie. L’amniocentesi si effettua per mezzo di una procedura invasiva e presenta un rischio di aborto spontaneo stimato intorno all’1%.

Ogni anno, l’amniocentesi provoca migliaia di aborti spontanei, causando la perdita di bambini perfettamente sani!

Papilloma Virus

Papilloma Virus

Nel nostro laboratorio di alto livello specialistico nel campo della diagnosi di HPV con €65,00 effettuiamo determinazione e genotipizzazione del papilloma, cioè cerchiamo il DNA virale per vedere se c’è l’infezione e in quel caso identifichiamo il genotipo con un costo molto inferiore al prezzo del ticket

Il papilloma virus umano o HPV (Human Papilloma Virus) è un virus appartenente al gruppo dei

papillomavirus, famiglia papillomaviridae. Le infezioni da HPV sono estremamente diffuse e si

accompagnano costantemente a comparsa di lesioni proliferative circoscritte, in genere esofitiche,

con diversi aspetti clinici ed istopatologici a seconda del tipo di epitelio interessato.

Classificazione

1) Epidemiologica: gli HPV sono suddivisi in virus ad alto e basso rischio oncogeno sulla base

delle lesioni a cui sono associati. I tipi ad alto rischio sono implicati nella carcinogenesi dei

tumori del collo dell’utero, del tratto ano-genitale e di altre mucose. Alcuni tipi, definiti

“probabilmente ad alto rischio” sono rilevabili soprattutto in lesioni di alto grado, ma il numero

dei casi riscontrati non è ancora sufficiente per inserirli nel gruppo ad alto rischio. Quelli a basso

rischio si associano quasi esclusivamente a lesioni benigne come i condilomi genitali.

2) In base al Tropismo del virus: sono suddivisi in due grandi categorie, HPV cutanei ed HPV

mucosali:

a. HPV cutanei, causano lesioni cutanee come le verruche comuni o volgari, si localizzano

frequentemente a livello delle mani e dei piedi; altri tipi di HPV cutanei si associano con la

epidermodisplasia verruciforme.

b. HPV mucosali, causano diversi tipi di lesioni a carico del tratto genitale sia nelle donne che

negli uomini; HPV 6 e HPV 11, appartenenti ai tipi a basso rischio, portano alla formazione di

condilomi acuminati (verruche benigne), mentre i tipi ad alto rischio sono riscontrati in lesioni

squamose intraepiteliali che possono progredire verso il carcinoma squamoso invasivo. Altre

zone del distretto ano-genitale frequentemente associate ad infezione da HPV sono il pene, la

vagina, la vulva e l’ano. Recentemente è stata evidenziata la presenza di HPV ad alto rischio

anche in carcinomi del distretto testa-collo, in particolare cavo orale ed orofaringe.

Filogenesi

Si conoscono più di 100 tipi di papillomavirus, divisi in diversi gruppi designati progressivamente

con lettere in base alle omologie di sequenza del DNA. Un nuovo genotipo deve avere una omologia

inferiore al 90% nella sequenza nucleotidica della regione L1, rispetto alla sequenza corrispondente

del genoma di tipi conosciuti; si classifica come sottotipo quando l’omologia è compresa tra 90% e

98%, si definisce variante quando l’omologia è tra il 98% e 100%.

Struttura

Gli HPV sono virus nudi, privi di rivestimento lipoproteico (pericapside), possiedono un capside

icosaedrico con un diametro di 45-55 nm, formato da 72 capsomeri, ciascuno di essi dà origine ad

una protuberanza a forma di stella a cinque punte con un canale al centro. Il capside contiene un

genoma costituito da DNA circolare a doppio filamento lungo 8 Kb che contiene dieci “open reading

frames” (ORF) che vengono trascritti come messaggeri policistronici utilizzando come stampo

sempre lo stesso filamento di DNA, otto geni precoci (early, da E1 a E8) e due geni tardivi (late, L1 e

L2). A monte dei geni precoci è presente una regione non codificante chiamata Long Control Region

(LCR), le cui dimensioni sono notevolmente diverse tra i genomi dei diversi tipi di HPV. All’interno

di questa regione sono concentrate le sequenze regolatrici richieste per la replicazione e trascrizione

virale.

Ciclo vitale ed espressione genica

HPV può trascrivere solo nelle cellule in replicazione, in quanto non codifica per una sua DNA

polimerasi ed utilizza quella dell’ospite, che viene sintetizzata nelle cellule in attiva divisione; infatti

le cellule bersaglio del virus sono la cute e le mucose, due tessuti che si rigenerano in continuazione.

Quindi il ciclo vitale produttivo dei Papillomavirus è strettamente connesso al programma di

differenziamento della cellula epiteliale ospite infettata. Ogni strato dell’epidermide rappresenta una

fase differente del programma di differenziamento terminale del cheratinocita, e ad ogni stadio di

questo programma troviamo una precisa fase del ciclo vitale del virus. La progressione dell’infezione

virale è quindi, funzione del programma di differenziamento delle cellule epiteliali squamose.

La cute è formata da vari strati. Lo strato più esterno, chiamato epitelio stratificato squamoso (o

epidermide), è composto da 4 strati morfologicamente distinti: germinativo, spinoso, granulare e

corneo. Per poter stabilire con successo un’infezione persistente, il virus deve raggiungere, attraverso

piccole ferite o abrasioni superficiali della mucosa dell’ospite, le cellule dello strato epiteliale basale.

Questo tipo di cellule sono caratterizzate da una spiccata attività proliferativa e sono quindi, in grado

di permettere la persistenza del virus.

L’HPV penetra all’interno della cellula ospite dove permane in fase latente, oppure può andare

incontro a replicazione attiva portando alla sintesi di virus infettivi. Il periodo di incubazione varia da

pochi mesi ad oltre 2 anni. Comunque, molti individui possono rimanere per tutta la vita portatori

sani del virus senza produrre mai lesioni cliniche apparenti. L’infezione viene identificata quando si

riscontra il DNA del virus nello strato basale dell’epidermide, anche se, in tale stadio, non è

patologicamente manifesta. La transizione dall’infezione virale latente alla fase vegetativa è correlata

al processo di differenziamento che le cellule epiteliali subiscono durante la migrazione verso gli

strati cellulari più superficiali.

Dopo l’iniziale fase proliferativa, i cheratinociti basali entrano nella fase post-mitotica del loro ciclo,

iniziano a differenziare e migrare verso lo strato spinoso e granulare e assumono una forma non

vitale nello strato corneo. La differenziazione squamosa è un processo che porta ad un cambiamento,

finemente regolato e coordinato, dell’espressione genica che include l’induzione di alcuni geni, quali

quelli delle cheratine, e la repressione di altri, ad esempio i geni legati alla progressione del ciclo

cellulare.

 

Per assicurare la replicazione e il completamento del ciclo virale anche in queste cellule, gli HPV

hanno sviluppato strategie per sovvertire il normale pathway della regolazione del ciclo cellulare

della cellula infettata e hanno elaborato un sistema per disaccoppiare la proliferazione dal

differenziamento cellulare. La replicazione del DNA degli HPV avviene attraverso due diversi

meccanismi che dipendono dallo stato di differenziamento della cellula ospite:

1) Replicazione plasmidica;

2) Replicazione vegetativa;

Il primo si verifica nelle cellule proliferanti dello strato basale dell’epitelio, in queste cellule il DNA

virale viene mantenuto stabilmente in forma episomale a copie multiple e si replica

contemporaneamente al DNA cellulare (una volta per ciclo cellulare), venendo così trasmesso alle

cellule figlie ad ogni divisione cellulare. In questa fase vengono espressi solamente i geni precoci del

virus (E1- E2 – E3 – E4 – E5 – E6 – E7). A causa delle dimensioni ridotte del loro genoma, questi

virus non possono codificare la maggior parte degli enzimi necessari per la replicazione del loro

DNA e di conseguenza utilizzano strutture e componenti cellulari dell’ospite. Questo tipo di

replicazione assicura l’instaurarsi di un’infezione del virus persistente nelle cellule basali

dell’epidermide.

La replicazione vegetativa del virus, invece, avviene nelle cellule degli strati superiori dell’epitelio

(strato granuloso). Queste cellule si trovano ad uno stadio di differenziamento avanzato e non si ha

più la sintesi del DNA cellulare. Paradossalmente, si osserva ugualmente un’intensa replicazione del

DNA virale, cioè si formano i DNA che verranno poi racchiusi nei capsidi della progenie virale,

l’attivazione dell’espressione dei geni virali tardivi, la sintesi di proteine capsidiche e l’assemblaggio

dei virioni. La formazione della progenie virale completa è presente solo nello strato più esterno

dell’epitelio (strato corneo) e i virus assemblati sono espulsi nell’ambiente esterno quando le cellule

epiteliali si desquamano. Di conseguenza il virus è trasmesso principalmente attraverso contatto

diretto.

Il ciclo biologico degli HPV ad alto e basso rischio differisce in modo significativo. L’infezione e la

conseguente lesione provocata da parte di questi due tipi di HPV dipende dal comportamento del

genoma virale all’interno della cellula infettata. Il genoma di HPV può esistere in due stati differenti:

come episoma o integrato nel genoma dell’ospite. La forma episomiale del virus, che è associata con

la fase di latenza, caratterizzata da 1-2 copie del genoma virale per cellula o con la fase vegetativa

caratterizzata invece da 100-300 copie, è stata osservata nelle lesioni a basso grado o nelle lesioni

della neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN). Il mantenimento del genoma in forma episomiale è

una fase critica del ciclo vitale di HPV e dell’infezione persistente. Al contrario, la forma integrata

nel genoma ospite, in singola copia o in strutture multicopie ripetute in tandem, è osservata nelle

lesioni ad alto grado e nel carcinoma cervicale invasivo. Tale integrazione, riscontrabile solo nel caso

di HPV ad alto rischio, determina un’interruzione del ciclo di crescita del virus e implica la

distruzione di una parte del genoma virale e alterazioni geniche cellulari. In particolare, nel genoma

virale si ha la perdita della regione genica compresa tra i geni E1 ed E2 con conseguente
mancata

trascrizione dei geni tardivi codificanti per le proteine strutturali e trascrizione incontrollata dei geni

precoci E6 ed E7 che codificano per oncoproteine importanti nella replicazione virale e soprattutto

nella immortalizzazione e trasformazione delle cellule.

 

Negli HPV ad alto rischio la trascrizione inizia a partire da due promotori virali, uno precoce e uno

tardivo. Il promotore precoce si trova a monte dell’ORF per la proteina E6, codifica per le proteine

virali precoci ed è espresso prima della replicazione produttiva. In concomitanza con l’induzione

della replicazione e della sintesi di nuovi virioni, viene attivato un promotore tardivo che consente

l’espressione delle proteine tardive da una serie di siti eterogenei. Le proteine precoci servono a

modificare il metabolismo della cellula infettata e quindi sono quasi tutte espresse nella fase iniziale

del ciclo replicativo e sono le uniche espresse nelle cellule basali degli epiteli pluristratificati, mentre

le tardive sono le proteine strutturali, che associandosi tra loro formano la struttura icosaedrica del

capside virale. Le proteine E sono essenziali per il mantenimento di elevati livelli di trascrizione del

genoma virale e per la sintesi del suo DNA.

La proteina E1 svolge funzione regolatoria, importante nella fase iniziale della replicazione del

genoma virale, in collaborazione con E2. Presenta un’attività elicasica ATP–dipendente

necessaria per il riconoscimento e l’inizio della sintesi del DNA.

La proteina E2 è attiva sotto forma di dimeri. Presenta diversi domini di legame al DNA; è inoltre

presente una sequenza di legame per l’attivazione di E1. Regola la trascrizione virale a livello di

promotori precoci; a bassi livelli, E2 si lega a specifiche sequenze di riconoscimento e attiva i

promotori precoci, mentre a concentrazioni elevate reprime la trascrizione bloccando il legame dei

fattori di trascrizione. Il ruolo di E2 come repressore è molto importante nel regolare i livelli di E6

e E7, le due principali oncoproteine virali e la sua perdita rappresenta il primo stadio di

trasformazione neoplastica (quando il DNA di HPV si integra con il genoma umano si ha la

rottura delle sequenze geniche di E2, con soppressione dell’inibizione nei confronti di E6 ed E7).

La funzione degli eventuali prodotti degli ORF E3 ed E8 non è ben nota, comunque, essi sono

scarsamente conservati e possono non essere presenti nel genoma di alcuni genotipi di HPV;

La proteina E4 nonostante la sua inclusione tra le proteine early è espressa nelle fasi tardive

dell’infezione e riveste un ruolo nel processo di maturazione e proliferazione virale. Si ritrova

nelle cellule infette solo quando il processo di differenziazione è già avanzato ed in coincidenza

con gli eventi tardivi del ciclo di replicazione virale. Essa è generalmente associata allo scheletro

di cheratina delle cellule epiteliali e nelle cellule infette provoca un collasso del network dei

filamenti di cheratina provocando la deformazione delle cellule infettate (coilocitosi). E’ stato

ipotizzato che la sua funzione sia anche quella di cooperare alla fuoriuscita dei virioni neoformati

dalla cellula infetta.

La proteina E5 possiede una porzione N-terminale altamente idrofobica con la quale si inserisce

nella membrana della cellula infetta e blocca l’esposizione dei complessi di istocompatibilità di

tipo I e II, evitando la risposta cellulare T mediata. La proteina E5 inibisce inoltre l’apoptosi e

altera i segnali promossi dal legame di EGF e di PDGF con i rispettivi recettori; in particolare

dimeri di E5, inserendosi nella membrana cellulare in prossimità dei recettori per il PDGF ne

provoca l’attivazione, indipendentemente dalla presenza del ligando specifico, provocando così

l’innesco di segnali di moltiplicazione cellulare.

La proteina E6 ha un’azione simile a quella di altre oncoproteine prodotte da deossiribovirus

oncogeni. Si lega a p53 formando un complesso inattivo e rimuovendo il blocco G1 del ciclo

cellulare, interferendo con la riparazione del DNA e con l’innesco dell’apoptosi.

La proteina E7 si lega alla proteina del gene oncosoppressore RB (retinoblastoma), inattivandolo

ed impedendone la funzione fisiologica di regolatore negativo della trascrizione e di blocco del

ciclo cellulare.

 

L’ORF L1 codifica per la proteina capsidica virale maggiore che é altamente conservata nei

diversi HPV. È responsabile dell’attacco del virus alle cellule suscettibili ed inoltre media la

risposta umorale e cellulo-mediata all’infezione.

L’ORF L2 codifica per la proteina capsidica minore che é meno conservata nei diversi HPV. La

sua funzione non é chiara ma sembra che l’espressione della L2 insieme all’L1 aumenti

l’efficienza di assemblaggio del capside. La trascrizione delle ORF L1 ed L2 avviene nel

momento dell’assemblaggio dei virioni completi.

Patogenesi

 

L’infezione richiede cellule epiteliali proliferanti, situate nello strato basale dell’epidermide e delle

mucose. Il ciclo replicativo completo del virus, con produzione di una progenie virale matura è tipica

delle infezioni da HPV a basso o medio rischio, in cui il genoma virale permane in forma episomale.

Invece, nelle lesioni ad alto grado indotte dall’infezione da HPV ad alto rischio, quali HPV-16 e

HPV-18, avviene l’integrazione del DNA virale nel genoma cellulare, con conseguente mancata

produzione di una progenie virale completa. Tale integrazione è determinante nei meccanismi di

trasformazione ed immortalizzazione cellulare, poiché si verifica a livello della ORF E2, con

conseguente perdita dell’azione repressiva di E2 sulle oncoproteine virali E6 e E7, che svolgono un

ruolo fondamentale nei meccanismi di cancerogenesi. Pertanto nelle cellule dei tumori indotti da

HPV ad alto rischio, i geni E1, E6 e E7 sono integrati e funzionali, con conseguente stimolo alla

proliferazione cellulare, mentre i geni E2, E4 e E5 vengono persi o non trascritti.

Vie di trasmissione

1) Orizzontale:

a. Sessuale: si verifica a livello cervicale, vulvare, vaginale, perianale. Occasionalmente, le

infezioni ano-genitali sono trasmesse digitalmente da un sito dell’epitelio all’altro. Gli HPV

non sono presenti in liquidi biologici quali sangue o sperma. Il rischio di contrarre una

infezione da HPV aumenta con il numero dei partner sessuali, ed è massimo tra i giovani

adulti (20-35 anni). Il virus è più frequentemente trovato tra le popolazione promiscue e in

condizioni precarie di igiene. L’uso del profilattico non pare avere azione protettiva completa.

b. Non Sessuale: indumenti contaminati, strumentario medico.

2) Verticale: durante il passaggio nel canale del parto.

Storia naturale

La storia naturale dell’infezione genitale da HPV è fortemente condizionata dall’equilibrio che si

instaura fra ospite ed agente infettante. Nella maggior parte dei casi, infatti, il virus viene eliminato

dalla risposta immunitaria dell’ospite prima di sviluppare un effetto patogeno; in altri casi può restare

latente o andare incontro a replicazione provocando una lesione a livello genitale che, se non

regredisce spontaneamente, può manifestarsi attraverso diverse forme cliniche. Circa l’80% delle

infezioni sono transitorie asintomatiche e guariscono spontaneamente grazie alla risposta immunitaria

cellulo-mediata; il periodo medio di regressione di un’infezione da HPV è 6-18 mesi. La persistenza

dell’infezione è invece la condizione necessaria per l’evoluzione verso il carcinoma; i genotipi di

HPV ad alto rischio hanno una maggiore probabilità di infezione persistente. L’età è un altro fattore

importante: la probabilità di infezione persistente aumenta dopo i 35 anni. Il periodo che intercorre

fra l’infezione e l’apparizione dei primi segni clinici varia da 1-10 anni. Solo una piccola percentuale

(<5%) delle donne che hanno acquisito un’infezione sviluppa il tumore.

Il Ruolo dei Cofattori

 

L’infezione persistente da HPV ad alto rischio oncogeno è causa necessaria, anche se non sufficiente,

per lo sviluppo del tumore della cervice. Diversi cofattori contribuiscono ad aumentare il rischio:

Fattori dell’ospite:

_ L’attività sessuale: l’età precoce del primo rapporto sessuale, il numero elevato di partner;

_ L’utilizzo a lungo termine (più di 5 anni) di contraccettivi orali, (progesterone ed estrogeni) è

associato con lo sviluppo di lesioni preneoplasiche e cancro della cervice.

_ Fumo di sigaretta, documentata influenza sull’incidenza e persistenza delle infezioni da HPV.

_ Gravidanze multiple, sono un fattore di rischio tra donne che presentano infezione da HPV.

_ La co-infezione con altri virus a trasmissione sessuale come CMV, HHV-6, HHV-7 e HSV-2 può

indirettamente modificare le barriere dell’epiteliali.

_ Predisposizione genetica. La presenza di particolari antigeni leucocitari umani (HLA), come HLADQB1*

03 (DQ3), conferisce maggiore rischio di sviluppare cancro alla cervice uterina. Allo

stesso modo, pazienti con HLA-B7 tendono a sviluppare carcinomi più aggressivi con una

prognosi peggiore. L’antigene HLA-II Dqw3 è espresso dal 67-88% delle donne con cancro alla

cervice, mentre solo dal 50% della popolazione di controllo.

_ Condizioni d’immunodepressione, come nel caso di infezione da HIV. Le lesioni da HPV

presentano nelle pazienti HIV-positive una maggiore tendenza alla persistenza e alla progressione

a carcinoma invasivo. L’infezione da HIV interviene nella patogenesi dei papillomavirus

soprattutto mediante l’effetto immunodepressivo che riduce la risposta immune cellulo-mediata e

favorisce la persistenza dell’infezione da HPV, ma sono stati evidenziati anche meccanismi di

interazione diretta, quali la produzione da parte delle cellule infette di citochine come l’IL6 che

andrebbe a modulare l’espressione dei geni dell’HPV nei cheratinociti infetti. Anche soggetti con

un difetto nell’immunità cellulo-mediata (da linfociti T) e soggetti trapiantati sottoposti a terapia

immunosoppressiva dimostrano di essere molto suscettibili all’infezione da HPV e alle loro

complicanze.

_ Abitudini alimentari: Acido folico, vitamine B, C, E e B12-carotene , hanno un ruolo protettivo.

Fattori virali:

_ La maggioranza delle infezioni da HPV a basso rischio tendono a regredire spontaneamente senza

causare lesioni, invece la presenza di tipi ad alto rischio, come HPV 16 e HPV 18, è spesso

associata a lesioni precancerose e ai carcinomi invasivi.

_ Carica virale: pazienti con alta carica virale di HPV ad alto rischio possono avere un aumentato

rischio di sviluppare il cancro della cervice. È importante anche l’integrazione del virus nel DNA

dell’ospite.

_ Varianti virali: sulla base di variazioni di sequenza soprattutto della regione E6 del genoma virale

è stato possibile individuare cinque varianti filogenetiche di HPV-16: europeo (E), asiatico (As),

asiatico-americano (AA), africano-1 (Af1) e africano-2 (Af2). Varianti genetiche di HPV 16

possono essere associate ad un differente potenziale oncogeno; la variante asiatica-americana, a

causa dell’aumento dell’attività trascrizionale e delle variazioni a livello delle sequenze, presenta

un’attività maggiormente oncogena rispetto alla variante europea e la mutazione L83V (variante

europea), che potenzia l’attivazione della via MAPK, favorisce la progressione neoplastica.

Manifestazioni Cliniche

 

Il virus del papilloma causa numerose patologie, si distinguono lesioni cutanee, lesioni mucose

benigne e lesioni mucose maligne:

_ Lesioni cutanee: le verruche comuni o volgari sono le forme più diffuse e si manifestano in

forma di papule bianche-grigiastre o brune, piatte o rilevate, che si localizzano più

frequentemente a livello delle mani e della pianta dei piedi. I genotipi degli HPV più

frequentemente riscontrati in verruche sono i tipi 1, 2, 3, 4 e 7. La maggior parte dei restanti tipi

cutanei (i genotipi 5, 8, 9, 12, 14,15, 17, 19, 20, 47, 49) è stata ritrovata nelle lesioni della

epidermodisplasia verruciforme (EV), caratterizzata dalla diffusione delle lesioni da HPV in gran

parte della superficie corporea, simili a verruche piane e macule rossastre, che si manifestano in

soggetti con profonde alterazioni dell’immunità cellulare. Non è infrequente la degenerazione in

carcinoma a cellule squamose. Tra gli HPV di tipo cutaneo, i genotipi 5 e 8, e meno

frequentemente 14, 17, 20 e 47, sono stati identificati in carcinomi a cellule squamose.

_ Lesioni mucose benigne: comprendono prevalentemente condilomi acuminati e piani, che sono

conseguenti a trasmissione sessuale del virus e insorgono a livello dei genitali femminili e

maschili, dell’uretra, dell’area perianale e dell’ano. Si manifestano come masse esofitiche

verrucose di consistenza molle (condilomi piani) o modestamente rilevate (condilomi acuminati).

Sono generalmente associati ad infezioni dei genotipi 6 e 11 di HPV (a basso rischio) e non

portano quasi mai a cancro. La maggior parte delle lesioni è asintomatica e si può risolvere

spontaneamente in 3-4 mesi, oppure rimanere invariata o aumentare di dimensione e numero. La

papulosi Bowenoide, causata da HPV-16 e HPV-18, comprende verruche di colore rossomarrone

e devono essere sottoposte a biopsia; dal punto di vista istologico possono presentare la

stessa configurazione delle neoplasie intraepiteliali. Altre sedi mucose infettate dagli HPV,

caratterizzate da lesioni benigne di tipo papillomatoso, si trovano a livello respiratorio,

congiuntivale e orale.

_ Lesioni mucose maligne: sono caratterizzate da lesioni squamose intraepiteliali (SIL) che si

manifestano con grandi cellule arrotondate con atipie nucleari e alone perinucleare dette

coilociti. Le SIL sono suddivise in SIL a basso grado (LG-SILo L-SIL) e SIL ad alto grado (HGSIL

o H-SIL). A livello di vagina, vulva, ano e pene si riscontrano lesioni simili: neoplasie

intraepiteliali vaginali (VAIN), vulvari (VIN), anali (AIN) e peniene (PIN). Secondo la

classificazione istologica si distinguono tre gradi di neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN):

o CIN1 (lieve, corrisponde a L-SIL),

o CIN2 (moderata, corrisponde ad H-SIL),

o CIN3 (grave, corrisponde ad H-SIL).

Nelle L-SIL si riscontrano sia tipi di HPV a basso che ad alto rischio oncogeno. La maggior parte

delle lesioni di basso grado mantiene il virus in forma episomale e sostiene un ciclo di replicazione

completo: sono espressi anche geni tardivi e originano particelle virali complete. Le H-SIL sono

prevalentemente associate ad HPV ad alto rischio, che non possono però compiere un ciclo di

replicazione completo, a causa di difetti differenziativi tipici di queste lesioni.

Epidemiologia

Le infezioni da papillomavirus umano rappresentano una tra le cause più comuni delle malattie

sessualmente trasmesse diffuse in tutto il mondo; si stima che circa il 75% delle persone contrae il

 

virus almeno una volta nella vita: l’infezione interessa sia donne che maschi, soprattutto nella fascia

giovanile, all’inizio dell’attività sessuale. Nella maggioranza dei casi l’infezione è di tipo transiente e

il virus viene eliminato dal sistema immunitario senza provocare lesioni. L’infezione persistente da

HPV, invece, è ormai stata definitivamente stabilita essere un fattore necessario, anche se non

sufficiente, per lo sviluppo del carcinoma della cervice.

Prevalenza

La prevalenza dell’infezione da HPV a livello della cervice uterina in donne sessualmente attive

varia in relazione all’area geografica ed all’età: mostra un picco a 20-25 anni e decresce con

l’avanzare dell’età; si osserva una riattivazione dopo la menopausa per fattori ancora non chiari

come: comportamento sessuale (nuovo partner), cambiamento ormonale, riattivazione di infezione

latente. La prevalenza dell’infezione da HPV a livello della cervice uterina nelle donne con citologia

normale è intorno al 10%, in donne con lesioni di basso grado è del 71.6%, la prevalenza aumenta

nelle donne con lesioni di alto grado (84%) e con carcinoma della cervice (99.7%). La prevalenza dei

tipi di HPV nei carcinomi della cervice varia nelle diverse aree geografiche analizzate; HPV 16 è il

genotipo più comune in tutti i Paesi, HPV 18 rappresenta il secondo genotipo per frequenza (insieme

sono responsabili del 70% dei casi di cancro della cervice), seguito dai tipi 45, 31, 33, 52, 58, 35, 59,

56.

Incidenza

Il carcinoma della cervice costituisce la seconda causa di cancro nella donna, dopo il carcinoma della

mammella, con 273.000 vittime ogni anno nel mondo. Ogni anno sono riportati 493.000 nuovi casi,

di cui l’83.1% in paesi in via di sviluppo: 68.000 in Africa, 77.000 in America Latina e 245.000 in

Asia. Le aree a maggior rischio per lo sviluppo del tumore sono l’America centrale, l’America del

sud, le zone sud-est dell’Africa, i Caraibi e le zone centro-sud dell’Asia, che presentano tassi medi

d’incidenza che superano i 40 casi per 100.000 donne l’anno. Nei Paesi industrializzati l’incidenza è

intorno a 17 casi per 100.000 donne l’anno; tra i paesi industrializzati, le differenze sono dovute

prevalentemente alla forza dei programmi di screening e all’educazione sanitaria. L’Italia si trova in

una posizione intermedio-bassa: 10° posto per incidenza e 13° per mortalità, con circa 3.418 casi

nuovi di carcinoma del collo dell’utero e 1.186 decessi. Come mostrano i dati dell’Associazione

Italiana Registro Tumori nel rapporto 2006, l’andamento dell’incidenza e della mortalità mostra una

tendenza costante alla riduzione. L’incidenza passa da 9,7 a 8,1 casi per 100.000 donne/anno, mentre

la mortalità passa da 1,6 a 1 caso per 100.000 donne/anno, rispettivamente nel periodo1988-1992 e

nel periodo 1998-2002. La diminuzione dell’incidenza è a carico sostanzialmente delle forme

squamo-cellulari, mentre si osserva una tendenza all’aumento degli adenocarcinomi.

Metodologie Diagnostiche

1. Citologia: le cellule epiteliali della cervice uterina infettate con HPV comunemente mostrano

alterazioni citologiche e istologiche dovute a un distintivo effetto “citopatico virale”. La citologia

 

cervico-vaginale, più comunemente conosciuta come striscio vaginale o Pap test, è un test di

screening per il cancro del collo dell’utero. Fu introdotto nella pratica clinica nel 1949 da George

Papanicolau. Il Pap test permette di identificare le lesioni precancerose e il cancro del collo

dell’utero. La terminologia per classificare le alterazioni del Pap test si è sviluppata e modificata

nel tempo. Oggi la diagnosi citologica delle cellule cervico-vaginali viene fatta seguendo il

Sistema Bethesda (TSB) del 2001, che stabilisce una terminologia diagnostica uniforme e capace

di favorire la comunicazione tra laboratorio e clinico. Tra le anormalità delle cellule squamose è

compresa la lesione squamosa intraepiteliale, SIL, che descrive tutto lo spettro dei precursori del

carcinoma invasivo associati ad HPV. Lo spettro di questi precursori, nel sistema TSB, è

suddiviso in lesioni di basso grado LSIL (Low-grade Squamous Intraepithelial Lesion) e lesioni

di alto grado HSIL (High-grade Squamous Intraepithelial Lesion).

a. LSIL: la struttura dell’epitelio di origine è ben conservata; include la displasia lieve, il

condiloma piatto e le CIN1. La categoria delle cellule squamose include le ASC-US

(cellule squamose di significato indeterminato). Questo gruppo comprende uno spettro di

modificazioni cellulari e riflette i limiti dell’interpretazione al microscopio ottico delle

alterazioni borderline. Si osservano degli ingrandimenti nucleari e anomalie

citoistologiche di incerto significato, insufficienti per formulare una diagnosi certa di

lesione. Le condizioni istologiche che possono presentare questa difficoltà sono:

l’iperplasia delle cellule basali, la metaplasia squamosa immatura, la metaplasia squamosa

atipica, la riparazione (alterazioni epiteliali reattive), stati di basso estrogenismo, atrofia

ed epitelio sottile. In modo analogo per la componente ghiandolare è stato coniato il

termine AGUS (cellule ghiandolari atipiche di significato indeterminato).

b. HSIL: l’epitelio di origine è stato sostituito da cellule anormali di dimensioni più grandi.

Mostrano alterato il rapporto nucleo citoplasma, i nuclei sono ingranditi e irregolari.

Anche se la citologia rappresenta il prototipo diagnostico delle campagne di screening del

carcinoma della cervice, tuttavia per la sensibilità non ottimale e per la scarsa accuratezza

diagnostica nel discriminare le lesioni a basso rischio oncologico deve essere affiancata da una

metodica di secondo livello (livello successivo di approfondimento diagnostico) come colposcopia,

biopsia o ricerca del DNA virale dell’HPV.

2. Colposcopia: è un esame eseguito mediante uno strumento ottico denominato colposcopio

(costituito da una sorgente luminosa e un sistema di lenti) ed alcuni reagenti chimici (acido

acetico e soluzione iodo-iodurata di Lugol), consente di osservare, ad ingrandimento e con

un’intensa illuminazione, la superficie della vagina e dell’esocervice. Tale metodica è in grado di

evidenziare le lesioni presenti e permette di effettuare una biopsia mirata.

3. Istologia: le alterazioni citopatiche virali sono state descritte per la prima volta nel 1956 con il

termine di “atipia coilocitotica” per la loro somiglianza istologica alle comuni verruche cutanee.

Solo venti anni dopo queste alterazioni cellulari sono state correlate ai condilomi piatti della

cervice e in stretta associazione con l’infezione da HPV e le lesioni precancerose della cervice

uterina (CIN). I coilociti sono cellule comunemente situate negli strati intermedi dell’epitelio con

un ben definito alone chiaro perinucleare con conseguente condensazione e marginalizzazione

del citoplasma. I nuclei, non chiaramente displastici e privi di nucleoli, mostrano comunemente

un ingrandimento nucleare di due o tre volte rispetto alle cellule intermedie, irregolarità della

membrana, ipercromasia. Altre caratteristiche associate all’infezione da HPV sono le

binucleazioni e i meganuclei presenti negli strati superficiali ed intermedi dell’epitelio della

cervice. I coilociti sono la norma delle CIN 1 diventando meno evidenti nelle lesioni di alto

grado CIN2 e CIN3. La nomenclatura usata per descrivere istologicamente le condizioni

precancerose della cervice uterina sono sottoposte ad un continuo dibattito per una sempre

migliore definizione degli eventi patogenetici trasformanti che da epitelio normale portano al

carcinoma. La suddivisione dei vari gradi di CIN si basa essenzialmente sull’analisi delle

anomalie nucleari, dell’attività mitotica e della differenziazione e stratificazione degli epiteli.

a. CIN 1: nel CIN 1 i due terzi della stratificazione dell’epitelio mostra una sostanziale

differenziazione sebbene nuclei atipici possano essere presenti nello spessore dell’epitelio.

In questa categoria le caratteristiche diagnostiche sono concentrate in una piccola porzione

dell’epitelio vicino agli strati basali. Le mitosi sono rare e confinate nella parte basale

dell’epitelio e le alterazioni cellulari sono concentrate nella parte inferiore dell’epitelio con

alterazioni cellulari simili all’infezione da HPV o al condiloma piatto.

b. CIN 2: solo la metà dell’epitelio mostra differenziazione e maturazione, le anomalie

nucleari sono più pronunciate rispetto al CIN 1 sia quantitativamente che qualitativamente,

con nuclei pleomorfi e irregolarità della membrana nucleare. Le figure mitotiche possono

spingersi dallo strato basale fino ai 2/3 dell’epitelio.

c. CIN 3: è assente ogni differenziazione maturativa in quasi tutto lo strato dell’epitelio e se

presente è focale e limitata agli strati più superficiali. I nuclei sono marcatamente

ingranditi e pleomorfi con forme anche bizzarre, ipercromatici, mostrano un indice

 

mitotico molto prominente, con mitosi atipiche anche localizzate nell’epitelio squamoso

superficiale.

4. Test Molecolari: la diagnostica per la ricerca e la tipizzazione degli HPV si basa principalmente

sulla ricerca del DNA virale con metodiche di tipo molecolare. Tre principali metodiche possono

essere utilizzate:

a. Ibridizzazione diretta: utilizza sonde opportunamente marcate che si legano in modo

specifico, in determinate condizioni di temperatura e concentrazione salina, a sequenze

omologhe contenute nel campione da analizzare;

b. Amplificazione del segnale: la metodica non radioattiva più conosciuta si basa su una

ibridazione in soluzione con mix di sonde per diversi tipi di HPV; Il principio

fondamentale di tale sistema è che il DNA di HPV, se presente, si lega con specifiche

sonde a RNA, creando degli ibridi RNA-DNA molto stabili. Questi ibridi vengono catturati

da anticorpi universali legati ad un fase solida (micropiastra). I complessi così formati

vengono evidenziati con anticorpi monoclonali coniugati alla fosfatasi alcalina. Il segnale

che ne risulta è amplificato di almeno 3.000 volte e viene evidenziato con un substrato

chemioluminescente e misurato da un luminometro.

c. Amplificazione del target: la PCR (Polymerase Chain Reaction) è un’amplificazione

enzimatica in vitro di una definita sequenza di DNA.

Immunità

Il sistema immunitario riveste un ruolo importante nel controllo delle infezioni da HPV. Sia la

risposta immunitaria umorale che quella cellulo-mediata sono essenziali per la clearance delle

infezioni cervicali associate ad HPV. A livello dell’epitelio della cervice uterina troviamo:

_ Le cellule di Langerhans epidermiche (LC);

_ I cheratinociti;

_ Le cellule endoteliali del derma;

_ Le cellule dendritiche (DC) dello stroma.

La risposta immunitaria indotta dall’infezione da HPV comprende quella innata, che coinvolge

macrofagi, neutrofili e citochine, quella adattativa, sia di tipo umorale che cellulo-mediata. Una volta

avvenuto il contatto Antigene-LC, quest’ultima processa l’antigene, matura e migra verso i

 

linfonodi, dove presenta l’antigene in contesto MHC II ai linfociti T CD4+, che sono la chiave

dell’attivazione dell’immunità specifica. Numerosi studi hanno dimostrato che i linfociti T CD4+

riconoscono sia prodotti di geni precoci che tardivi; quale dei due tipi viene presentato dipende dalla

capacità della molecola MHC nel legare l’uno o l’altro antigene.

Risposta Umorale: le cellule B mature rilasciano anticorpi antigene-specifici. La

neutralizzazione è mediata da IgG sieriche e da IgA secretorie, quest’ultime rivolte verso

antigeni di superficie del virus al fine di bloccare l’ingresso nelle mucose e prevenire nuove

infezioni. Gli anticorpi circolanti e il complemento possono opsonizzare ed agglutinare le

particelle virali, facilitando la fagocitosi da parte dei macrofagi. Gli anticorpi non sono

sempre in grado di eliminare il virus, soprattutto quando esso entra in uno stato di latenza, in

cui il DNA virale è integrato in quello cellulare. L’intensità della sieroconversione dipende

dalla carica virale e dalla sua persistenza. Non è chiaro se la risposta anticorpale sia

sufficiente a proteggere dall’infezione e se tale protezione sia duratura.

Risposta cellulo mediata: la clearance di un’infezione naturale da HPV è promossa da una

risposta immunitaria cellulo-mediata. I linfociti T CD4+, a seconda dell’antigene riconosciuto

si differenziano in Th2 o in Th1. Th2 rilascia IL-4, IL-10 ed altre citochine che attivano la

risposta umorale con maturazione dei linfociti B in plasmacellule. Th1 attiva l’immunità

cellulo-mediata rilasciando INF α che a sua volta stimola i linfociti T CD8+, i macrofagi e le

cellule natural killer (NK). Il bersaglio dei linfociti T citotossici sono le proteine precoci E2,

E6 ed E7.

Evasione della risposta immunitaria: gli HPV, in modo particolare i genotipi ad alto rischio

oncogeno, hanno sviluppato una serie di meccanismi per evadere il sistema di difesa

dell’ospite; in particolare, evasione della immunità innata e ritardo nella attivazione della

immunità adattativa. Diversi fattori contribuiscono a rendere meno efficace le risposta

immunitaria:

o Gli HPV sono virus epitelio-tropici, infettano le cellule basali e attraverso il

programma di differenziazione del cheratinocita arrivano alla superficie dell’epitelio

prima di produrre le particelle virali. Come conseguenza non si verifica una fase

viremica, non c’è infiammazione, e i cheratinociti non rilasciano citochine proinfiammatorie;

o I tipi di HPV ad alto rischio hanno sviluppato meccanismi di inibizione della sintesi

dell’INF e della relativa catena di segnali ed in particolare le proteine oncogene E6 e

E7 effettuano una down-regolazione dell’espressione dei geni IFNα, abolendo la via di

attivazione INFdipendente;

o Non c’è stimolo per l’attivazione delle cellule dendritiche, la loro migrazione, la

presentazione e la processazione dell’antigene.

Terapie

Gli obiettivi delle terapie verso le patologie associate a HPV sono: l’eradicazione delle infezioni, la

guarigione dei sintomi e la prevenzione delle re-infezioni. Le terapie attualmente disponibili hanno

 

raggiunto questi obiettivi solo in parte; infatti, non si tratta di terapie antivirali specifiche, ma di

trattamenti ablativi che non risolvono l’infezione virale e il problema della trasmissione.

Analisi ed esenzione S.S.N.

Analisi ed esenzione S.S.N.

Vi seguiremo con le nostre analisi in ogni momento di questo meraviglioso percorso ….sappiate che le analisi che la sanità mette in esenzione totale non le pagherete nemmeno da noi anche se siamo una struttura privata.

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Pubblicato da AvanzaPorMas.com su Martedì 11 marzo 2014

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