Papilloma Virus

Papilloma Virus

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Il papilloma virus umano o HPV (Human Papilloma Virus) è un virus appartenente al gruppo dei

papillomavirus, famiglia papillomaviridae. Le infezioni da HPV sono estremamente diffuse e si

accompagnano costantemente a comparsa di lesioni proliferative circoscritte, in genere esofitiche,

con diversi aspetti clinici ed istopatologici a seconda del tipo di epitelio interessato.

Classificazione

1) Epidemiologica: gli HPV sono suddivisi in virus ad alto e basso rischio oncogeno sulla base

delle lesioni a cui sono associati. I tipi ad alto rischio sono implicati nella carcinogenesi dei

tumori del collo dell’utero, del tratto ano-genitale e di altre mucose. Alcuni tipi, definiti

“probabilmente ad alto rischio” sono rilevabili soprattutto in lesioni di alto grado, ma il numero

dei casi riscontrati non è ancora sufficiente per inserirli nel gruppo ad alto rischio. Quelli a basso

rischio si associano quasi esclusivamente a lesioni benigne come i condilomi genitali.

2) In base al Tropismo del virus: sono suddivisi in due grandi categorie, HPV cutanei ed HPV

mucosali:

a. HPV cutanei, causano lesioni cutanee come le verruche comuni o volgari, si localizzano

frequentemente a livello delle mani e dei piedi; altri tipi di HPV cutanei si associano con la

epidermodisplasia verruciforme.

b. HPV mucosali, causano diversi tipi di lesioni a carico del tratto genitale sia nelle donne che

negli uomini; HPV 6 e HPV 11, appartenenti ai tipi a basso rischio, portano alla formazione di

condilomi acuminati (verruche benigne), mentre i tipi ad alto rischio sono riscontrati in lesioni

squamose intraepiteliali che possono progredire verso il carcinoma squamoso invasivo. Altre

zone del distretto ano-genitale frequentemente associate ad infezione da HPV sono il pene, la

vagina, la vulva e l’ano. Recentemente è stata evidenziata la presenza di HPV ad alto rischio

anche in carcinomi del distretto testa-collo, in particolare cavo orale ed orofaringe.

Filogenesi

Si conoscono più di 100 tipi di papillomavirus, divisi in diversi gruppi designati progressivamente

con lettere in base alle omologie di sequenza del DNA. Un nuovo genotipo deve avere una omologia

inferiore al 90% nella sequenza nucleotidica della regione L1, rispetto alla sequenza corrispondente

del genoma di tipi conosciuti; si classifica come sottotipo quando l’omologia è compresa tra 90% e

98%, si definisce variante quando l’omologia è tra il 98% e 100%.

Struttura

Gli HPV sono virus nudi, privi di rivestimento lipoproteico (pericapside), possiedono un capside

icosaedrico con un diametro di 45-55 nm, formato da 72 capsomeri, ciascuno di essi dà origine ad

una protuberanza a forma di stella a cinque punte con un canale al centro. Il capside contiene un

genoma costituito da DNA circolare a doppio filamento lungo 8 Kb che contiene dieci “open reading

frames” (ORF) che vengono trascritti come messaggeri policistronici utilizzando come stampo

sempre lo stesso filamento di DNA, otto geni precoci (early, da E1 a E8) e due geni tardivi (late, L1 e

L2). A monte dei geni precoci è presente una regione non codificante chiamata Long Control Region

(LCR), le cui dimensioni sono notevolmente diverse tra i genomi dei diversi tipi di HPV. All’interno

di questa regione sono concentrate le sequenze regolatrici richieste per la replicazione e trascrizione

virale.

Ciclo vitale ed espressione genica

HPV può trascrivere solo nelle cellule in replicazione, in quanto non codifica per una sua DNA

polimerasi ed utilizza quella dell’ospite, che viene sintetizzata nelle cellule in attiva divisione; infatti

le cellule bersaglio del virus sono la cute e le mucose, due tessuti che si rigenerano in continuazione.

Quindi il ciclo vitale produttivo dei Papillomavirus è strettamente connesso al programma di

differenziamento della cellula epiteliale ospite infettata. Ogni strato dell’epidermide rappresenta una

fase differente del programma di differenziamento terminale del cheratinocita, e ad ogni stadio di

questo programma troviamo una precisa fase del ciclo vitale del virus. La progressione dell’infezione

virale è quindi, funzione del programma di differenziamento delle cellule epiteliali squamose.

La cute è formata da vari strati. Lo strato più esterno, chiamato epitelio stratificato squamoso (o

epidermide), è composto da 4 strati morfologicamente distinti: germinativo, spinoso, granulare e

corneo. Per poter stabilire con successo un’infezione persistente, il virus deve raggiungere, attraverso

piccole ferite o abrasioni superficiali della mucosa dell’ospite, le cellule dello strato epiteliale basale.

Questo tipo di cellule sono caratterizzate da una spiccata attività proliferativa e sono quindi, in grado

di permettere la persistenza del virus.

L’HPV penetra all’interno della cellula ospite dove permane in fase latente, oppure può andare

incontro a replicazione attiva portando alla sintesi di virus infettivi. Il periodo di incubazione varia da

pochi mesi ad oltre 2 anni. Comunque, molti individui possono rimanere per tutta la vita portatori

sani del virus senza produrre mai lesioni cliniche apparenti. L’infezione viene identificata quando si

riscontra il DNA del virus nello strato basale dell’epidermide, anche se, in tale stadio, non è

patologicamente manifesta. La transizione dall’infezione virale latente alla fase vegetativa è correlata

al processo di differenziamento che le cellule epiteliali subiscono durante la migrazione verso gli

strati cellulari più superficiali.

Dopo l’iniziale fase proliferativa, i cheratinociti basali entrano nella fase post-mitotica del loro ciclo,

iniziano a differenziare e migrare verso lo strato spinoso e granulare e assumono una forma non

vitale nello strato corneo. La differenziazione squamosa è un processo che porta ad un cambiamento,

finemente regolato e coordinato, dell’espressione genica che include l’induzione di alcuni geni, quali

quelli delle cheratine, e la repressione di altri, ad esempio i geni legati alla progressione del ciclo

cellulare.

 

Per assicurare la replicazione e il completamento del ciclo virale anche in queste cellule, gli HPV

hanno sviluppato strategie per sovvertire il normale pathway della regolazione del ciclo cellulare

della cellula infettata e hanno elaborato un sistema per disaccoppiare la proliferazione dal

differenziamento cellulare. La replicazione del DNA degli HPV avviene attraverso due diversi

meccanismi che dipendono dallo stato di differenziamento della cellula ospite:

1) Replicazione plasmidica;

2) Replicazione vegetativa;

Il primo si verifica nelle cellule proliferanti dello strato basale dell’epitelio, in queste cellule il DNA

virale viene mantenuto stabilmente in forma episomale a copie multiple e si replica

contemporaneamente al DNA cellulare (una volta per ciclo cellulare), venendo così trasmesso alle

cellule figlie ad ogni divisione cellulare. In questa fase vengono espressi solamente i geni precoci del

virus (E1- E2 – E3 – E4 – E5 – E6 – E7). A causa delle dimensioni ridotte del loro genoma, questi

virus non possono codificare la maggior parte degli enzimi necessari per la replicazione del loro

DNA e di conseguenza utilizzano strutture e componenti cellulari dell’ospite. Questo tipo di

replicazione assicura l’instaurarsi di un’infezione del virus persistente nelle cellule basali

dell’epidermide.

La replicazione vegetativa del virus, invece, avviene nelle cellule degli strati superiori dell’epitelio

(strato granuloso). Queste cellule si trovano ad uno stadio di differenziamento avanzato e non si ha

più la sintesi del DNA cellulare. Paradossalmente, si osserva ugualmente un’intensa replicazione del

DNA virale, cioè si formano i DNA che verranno poi racchiusi nei capsidi della progenie virale,

l’attivazione dell’espressione dei geni virali tardivi, la sintesi di proteine capsidiche e l’assemblaggio

dei virioni. La formazione della progenie virale completa è presente solo nello strato più esterno

dell’epitelio (strato corneo) e i virus assemblati sono espulsi nell’ambiente esterno quando le cellule

epiteliali si desquamano. Di conseguenza il virus è trasmesso principalmente attraverso contatto

diretto.

Il ciclo biologico degli HPV ad alto e basso rischio differisce in modo significativo. L’infezione e la

conseguente lesione provocata da parte di questi due tipi di HPV dipende dal comportamento del

genoma virale all’interno della cellula infettata. Il genoma di HPV può esistere in due stati differenti:

come episoma o integrato nel genoma dell’ospite. La forma episomiale del virus, che è associata con

la fase di latenza, caratterizzata da 1-2 copie del genoma virale per cellula o con la fase vegetativa

caratterizzata invece da 100-300 copie, è stata osservata nelle lesioni a basso grado o nelle lesioni

della neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN). Il mantenimento del genoma in forma episomiale è

una fase critica del ciclo vitale di HPV e dell’infezione persistente. Al contrario, la forma integrata

nel genoma ospite, in singola copia o in strutture multicopie ripetute in tandem, è osservata nelle

lesioni ad alto grado e nel carcinoma cervicale invasivo. Tale integrazione, riscontrabile solo nel caso

di HPV ad alto rischio, determina un’interruzione del ciclo di crescita del virus e implica la

distruzione di una parte del genoma virale e alterazioni geniche cellulari. In particolare, nel genoma

virale si ha la perdita della regione genica compresa tra i geni E1 ed E2 con conseguente
mancata

trascrizione dei geni tardivi codificanti per le proteine strutturali e trascrizione incontrollata dei geni

precoci E6 ed E7 che codificano per oncoproteine importanti nella replicazione virale e soprattutto

nella immortalizzazione e trasformazione delle cellule.

 

Negli HPV ad alto rischio la trascrizione inizia a partire da due promotori virali, uno precoce e uno

tardivo. Il promotore precoce si trova a monte dell’ORF per la proteina E6, codifica per le proteine

virali precoci ed è espresso prima della replicazione produttiva. In concomitanza con l’induzione

della replicazione e della sintesi di nuovi virioni, viene attivato un promotore tardivo che consente

l’espressione delle proteine tardive da una serie di siti eterogenei. Le proteine precoci servono a

modificare il metabolismo della cellula infettata e quindi sono quasi tutte espresse nella fase iniziale

del ciclo replicativo e sono le uniche espresse nelle cellule basali degli epiteli pluristratificati, mentre

le tardive sono le proteine strutturali, che associandosi tra loro formano la struttura icosaedrica del

capside virale. Le proteine E sono essenziali per il mantenimento di elevati livelli di trascrizione del

genoma virale e per la sintesi del suo DNA.

La proteina E1 svolge funzione regolatoria, importante nella fase iniziale della replicazione del

genoma virale, in collaborazione con E2. Presenta un’attività elicasica ATP–dipendente

necessaria per il riconoscimento e l’inizio della sintesi del DNA.

La proteina E2 è attiva sotto forma di dimeri. Presenta diversi domini di legame al DNA; è inoltre

presente una sequenza di legame per l’attivazione di E1. Regola la trascrizione virale a livello di

promotori precoci; a bassi livelli, E2 si lega a specifiche sequenze di riconoscimento e attiva i

promotori precoci, mentre a concentrazioni elevate reprime la trascrizione bloccando il legame dei

fattori di trascrizione. Il ruolo di E2 come repressore è molto importante nel regolare i livelli di E6

e E7, le due principali oncoproteine virali e la sua perdita rappresenta il primo stadio di

trasformazione neoplastica (quando il DNA di HPV si integra con il genoma umano si ha la

rottura delle sequenze geniche di E2, con soppressione dell’inibizione nei confronti di E6 ed E7).

La funzione degli eventuali prodotti degli ORF E3 ed E8 non è ben nota, comunque, essi sono

scarsamente conservati e possono non essere presenti nel genoma di alcuni genotipi di HPV;

La proteina E4 nonostante la sua inclusione tra le proteine early è espressa nelle fasi tardive

dell’infezione e riveste un ruolo nel processo di maturazione e proliferazione virale. Si ritrova

nelle cellule infette solo quando il processo di differenziazione è già avanzato ed in coincidenza

con gli eventi tardivi del ciclo di replicazione virale. Essa è generalmente associata allo scheletro

di cheratina delle cellule epiteliali e nelle cellule infette provoca un collasso del network dei

filamenti di cheratina provocando la deformazione delle cellule infettate (coilocitosi). E’ stato

ipotizzato che la sua funzione sia anche quella di cooperare alla fuoriuscita dei virioni neoformati

dalla cellula infetta.

La proteina E5 possiede una porzione N-terminale altamente idrofobica con la quale si inserisce

nella membrana della cellula infetta e blocca l’esposizione dei complessi di istocompatibilità di

tipo I e II, evitando la risposta cellulare T mediata. La proteina E5 inibisce inoltre l’apoptosi e

altera i segnali promossi dal legame di EGF e di PDGF con i rispettivi recettori; in particolare

dimeri di E5, inserendosi nella membrana cellulare in prossimità dei recettori per il PDGF ne

provoca l’attivazione, indipendentemente dalla presenza del ligando specifico, provocando così

l’innesco di segnali di moltiplicazione cellulare.

La proteina E6 ha un’azione simile a quella di altre oncoproteine prodotte da deossiribovirus

oncogeni. Si lega a p53 formando un complesso inattivo e rimuovendo il blocco G1 del ciclo

cellulare, interferendo con la riparazione del DNA e con l’innesco dell’apoptosi.

La proteina E7 si lega alla proteina del gene oncosoppressore RB (retinoblastoma), inattivandolo

ed impedendone la funzione fisiologica di regolatore negativo della trascrizione e di blocco del

ciclo cellulare.

 

L’ORF L1 codifica per la proteina capsidica virale maggiore che é altamente conservata nei

diversi HPV. È responsabile dell’attacco del virus alle cellule suscettibili ed inoltre media la

risposta umorale e cellulo-mediata all’infezione.

L’ORF L2 codifica per la proteina capsidica minore che é meno conservata nei diversi HPV. La

sua funzione non é chiara ma sembra che l’espressione della L2 insieme all’L1 aumenti

l’efficienza di assemblaggio del capside. La trascrizione delle ORF L1 ed L2 avviene nel

momento dell’assemblaggio dei virioni completi.

Patogenesi

 

L’infezione richiede cellule epiteliali proliferanti, situate nello strato basale dell’epidermide e delle

mucose. Il ciclo replicativo completo del virus, con produzione di una progenie virale matura è tipica

delle infezioni da HPV a basso o medio rischio, in cui il genoma virale permane in forma episomale.

Invece, nelle lesioni ad alto grado indotte dall’infezione da HPV ad alto rischio, quali HPV-16 e

HPV-18, avviene l’integrazione del DNA virale nel genoma cellulare, con conseguente mancata

produzione di una progenie virale completa. Tale integrazione è determinante nei meccanismi di

trasformazione ed immortalizzazione cellulare, poiché si verifica a livello della ORF E2, con

conseguente perdita dell’azione repressiva di E2 sulle oncoproteine virali E6 e E7, che svolgono un

ruolo fondamentale nei meccanismi di cancerogenesi. Pertanto nelle cellule dei tumori indotti da

HPV ad alto rischio, i geni E1, E6 e E7 sono integrati e funzionali, con conseguente stimolo alla

proliferazione cellulare, mentre i geni E2, E4 e E5 vengono persi o non trascritti.

Vie di trasmissione

1) Orizzontale:

a. Sessuale: si verifica a livello cervicale, vulvare, vaginale, perianale. Occasionalmente, le

infezioni ano-genitali sono trasmesse digitalmente da un sito dell’epitelio all’altro. Gli HPV

non sono presenti in liquidi biologici quali sangue o sperma. Il rischio di contrarre una

infezione da HPV aumenta con il numero dei partner sessuali, ed è massimo tra i giovani

adulti (20-35 anni). Il virus è più frequentemente trovato tra le popolazione promiscue e in

condizioni precarie di igiene. L’uso del profilattico non pare avere azione protettiva completa.

b. Non Sessuale: indumenti contaminati, strumentario medico.

2) Verticale: durante il passaggio nel canale del parto.

Storia naturale

La storia naturale dell’infezione genitale da HPV è fortemente condizionata dall’equilibrio che si

instaura fra ospite ed agente infettante. Nella maggior parte dei casi, infatti, il virus viene eliminato

dalla risposta immunitaria dell’ospite prima di sviluppare un effetto patogeno; in altri casi può restare

latente o andare incontro a replicazione provocando una lesione a livello genitale che, se non

regredisce spontaneamente, può manifestarsi attraverso diverse forme cliniche. Circa l’80% delle

infezioni sono transitorie asintomatiche e guariscono spontaneamente grazie alla risposta immunitaria

cellulo-mediata; il periodo medio di regressione di un’infezione da HPV è 6-18 mesi. La persistenza

dell’infezione è invece la condizione necessaria per l’evoluzione verso il carcinoma; i genotipi di

HPV ad alto rischio hanno una maggiore probabilità di infezione persistente. L’età è un altro fattore

importante: la probabilità di infezione persistente aumenta dopo i 35 anni. Il periodo che intercorre

fra l’infezione e l’apparizione dei primi segni clinici varia da 1-10 anni. Solo una piccola percentuale

(<5%) delle donne che hanno acquisito un’infezione sviluppa il tumore.

Il Ruolo dei Cofattori

 

L’infezione persistente da HPV ad alto rischio oncogeno è causa necessaria, anche se non sufficiente,

per lo sviluppo del tumore della cervice. Diversi cofattori contribuiscono ad aumentare il rischio:

Fattori dell’ospite:

_ L’attività sessuale: l’età precoce del primo rapporto sessuale, il numero elevato di partner;

_ L’utilizzo a lungo termine (più di 5 anni) di contraccettivi orali, (progesterone ed estrogeni) è

associato con lo sviluppo di lesioni preneoplasiche e cancro della cervice.

_ Fumo di sigaretta, documentata influenza sull’incidenza e persistenza delle infezioni da HPV.

_ Gravidanze multiple, sono un fattore di rischio tra donne che presentano infezione da HPV.

_ La co-infezione con altri virus a trasmissione sessuale come CMV, HHV-6, HHV-7 e HSV-2 può

indirettamente modificare le barriere dell’epiteliali.

_ Predisposizione genetica. La presenza di particolari antigeni leucocitari umani (HLA), come HLADQB1*

03 (DQ3), conferisce maggiore rischio di sviluppare cancro alla cervice uterina. Allo

stesso modo, pazienti con HLA-B7 tendono a sviluppare carcinomi più aggressivi con una

prognosi peggiore. L’antigene HLA-II Dqw3 è espresso dal 67-88% delle donne con cancro alla

cervice, mentre solo dal 50% della popolazione di controllo.

_ Condizioni d’immunodepressione, come nel caso di infezione da HIV. Le lesioni da HPV

presentano nelle pazienti HIV-positive una maggiore tendenza alla persistenza e alla progressione

a carcinoma invasivo. L’infezione da HIV interviene nella patogenesi dei papillomavirus

soprattutto mediante l’effetto immunodepressivo che riduce la risposta immune cellulo-mediata e

favorisce la persistenza dell’infezione da HPV, ma sono stati evidenziati anche meccanismi di

interazione diretta, quali la produzione da parte delle cellule infette di citochine come l’IL6 che

andrebbe a modulare l’espressione dei geni dell’HPV nei cheratinociti infetti. Anche soggetti con

un difetto nell’immunità cellulo-mediata (da linfociti T) e soggetti trapiantati sottoposti a terapia

immunosoppressiva dimostrano di essere molto suscettibili all’infezione da HPV e alle loro

complicanze.

_ Abitudini alimentari: Acido folico, vitamine B, C, E e B12-carotene , hanno un ruolo protettivo.

Fattori virali:

_ La maggioranza delle infezioni da HPV a basso rischio tendono a regredire spontaneamente senza

causare lesioni, invece la presenza di tipi ad alto rischio, come HPV 16 e HPV 18, è spesso

associata a lesioni precancerose e ai carcinomi invasivi.

_ Carica virale: pazienti con alta carica virale di HPV ad alto rischio possono avere un aumentato

rischio di sviluppare il cancro della cervice. È importante anche l’integrazione del virus nel DNA

dell’ospite.

_ Varianti virali: sulla base di variazioni di sequenza soprattutto della regione E6 del genoma virale

è stato possibile individuare cinque varianti filogenetiche di HPV-16: europeo (E), asiatico (As),

asiatico-americano (AA), africano-1 (Af1) e africano-2 (Af2). Varianti genetiche di HPV 16

possono essere associate ad un differente potenziale oncogeno; la variante asiatica-americana, a

causa dell’aumento dell’attività trascrizionale e delle variazioni a livello delle sequenze, presenta

un’attività maggiormente oncogena rispetto alla variante europea e la mutazione L83V (variante

europea), che potenzia l’attivazione della via MAPK, favorisce la progressione neoplastica.

Manifestazioni Cliniche

 

Il virus del papilloma causa numerose patologie, si distinguono lesioni cutanee, lesioni mucose

benigne e lesioni mucose maligne:

_ Lesioni cutanee: le verruche comuni o volgari sono le forme più diffuse e si manifestano in

forma di papule bianche-grigiastre o brune, piatte o rilevate, che si localizzano più

frequentemente a livello delle mani e della pianta dei piedi. I genotipi degli HPV più

frequentemente riscontrati in verruche sono i tipi 1, 2, 3, 4 e 7. La maggior parte dei restanti tipi

cutanei (i genotipi 5, 8, 9, 12, 14,15, 17, 19, 20, 47, 49) è stata ritrovata nelle lesioni della

epidermodisplasia verruciforme (EV), caratterizzata dalla diffusione delle lesioni da HPV in gran

parte della superficie corporea, simili a verruche piane e macule rossastre, che si manifestano in

soggetti con profonde alterazioni dell’immunità cellulare. Non è infrequente la degenerazione in

carcinoma a cellule squamose. Tra gli HPV di tipo cutaneo, i genotipi 5 e 8, e meno

frequentemente 14, 17, 20 e 47, sono stati identificati in carcinomi a cellule squamose.

_ Lesioni mucose benigne: comprendono prevalentemente condilomi acuminati e piani, che sono

conseguenti a trasmissione sessuale del virus e insorgono a livello dei genitali femminili e

maschili, dell’uretra, dell’area perianale e dell’ano. Si manifestano come masse esofitiche

verrucose di consistenza molle (condilomi piani) o modestamente rilevate (condilomi acuminati).

Sono generalmente associati ad infezioni dei genotipi 6 e 11 di HPV (a basso rischio) e non

portano quasi mai a cancro. La maggior parte delle lesioni è asintomatica e si può risolvere

spontaneamente in 3-4 mesi, oppure rimanere invariata o aumentare di dimensione e numero. La

papulosi Bowenoide, causata da HPV-16 e HPV-18, comprende verruche di colore rossomarrone

e devono essere sottoposte a biopsia; dal punto di vista istologico possono presentare la

stessa configurazione delle neoplasie intraepiteliali. Altre sedi mucose infettate dagli HPV,

caratterizzate da lesioni benigne di tipo papillomatoso, si trovano a livello respiratorio,

congiuntivale e orale.

_ Lesioni mucose maligne: sono caratterizzate da lesioni squamose intraepiteliali (SIL) che si

manifestano con grandi cellule arrotondate con atipie nucleari e alone perinucleare dette

coilociti. Le SIL sono suddivise in SIL a basso grado (LG-SILo L-SIL) e SIL ad alto grado (HGSIL

o H-SIL). A livello di vagina, vulva, ano e pene si riscontrano lesioni simili: neoplasie

intraepiteliali vaginali (VAIN), vulvari (VIN), anali (AIN) e peniene (PIN). Secondo la

classificazione istologica si distinguono tre gradi di neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN):

o CIN1 (lieve, corrisponde a L-SIL),

o CIN2 (moderata, corrisponde ad H-SIL),

o CIN3 (grave, corrisponde ad H-SIL).

Nelle L-SIL si riscontrano sia tipi di HPV a basso che ad alto rischio oncogeno. La maggior parte

delle lesioni di basso grado mantiene il virus in forma episomale e sostiene un ciclo di replicazione

completo: sono espressi anche geni tardivi e originano particelle virali complete. Le H-SIL sono

prevalentemente associate ad HPV ad alto rischio, che non possono però compiere un ciclo di

replicazione completo, a causa di difetti differenziativi tipici di queste lesioni.

Epidemiologia

Le infezioni da papillomavirus umano rappresentano una tra le cause più comuni delle malattie

sessualmente trasmesse diffuse in tutto il mondo; si stima che circa il 75% delle persone contrae il

 

virus almeno una volta nella vita: l’infezione interessa sia donne che maschi, soprattutto nella fascia

giovanile, all’inizio dell’attività sessuale. Nella maggioranza dei casi l’infezione è di tipo transiente e

il virus viene eliminato dal sistema immunitario senza provocare lesioni. L’infezione persistente da

HPV, invece, è ormai stata definitivamente stabilita essere un fattore necessario, anche se non

sufficiente, per lo sviluppo del carcinoma della cervice.

Prevalenza

La prevalenza dell’infezione da HPV a livello della cervice uterina in donne sessualmente attive

varia in relazione all’area geografica ed all’età: mostra un picco a 20-25 anni e decresce con

l’avanzare dell’età; si osserva una riattivazione dopo la menopausa per fattori ancora non chiari

come: comportamento sessuale (nuovo partner), cambiamento ormonale, riattivazione di infezione

latente. La prevalenza dell’infezione da HPV a livello della cervice uterina nelle donne con citologia

normale è intorno al 10%, in donne con lesioni di basso grado è del 71.6%, la prevalenza aumenta

nelle donne con lesioni di alto grado (84%) e con carcinoma della cervice (99.7%). La prevalenza dei

tipi di HPV nei carcinomi della cervice varia nelle diverse aree geografiche analizzate; HPV 16 è il

genotipo più comune in tutti i Paesi, HPV 18 rappresenta il secondo genotipo per frequenza (insieme

sono responsabili del 70% dei casi di cancro della cervice), seguito dai tipi 45, 31, 33, 52, 58, 35, 59,

56.

Incidenza

Il carcinoma della cervice costituisce la seconda causa di cancro nella donna, dopo il carcinoma della

mammella, con 273.000 vittime ogni anno nel mondo. Ogni anno sono riportati 493.000 nuovi casi,

di cui l’83.1% in paesi in via di sviluppo: 68.000 in Africa, 77.000 in America Latina e 245.000 in

Asia. Le aree a maggior rischio per lo sviluppo del tumore sono l’America centrale, l’America del

sud, le zone sud-est dell’Africa, i Caraibi e le zone centro-sud dell’Asia, che presentano tassi medi

d’incidenza che superano i 40 casi per 100.000 donne l’anno. Nei Paesi industrializzati l’incidenza è

intorno a 17 casi per 100.000 donne l’anno; tra i paesi industrializzati, le differenze sono dovute

prevalentemente alla forza dei programmi di screening e all’educazione sanitaria. L’Italia si trova in

una posizione intermedio-bassa: 10° posto per incidenza e 13° per mortalità, con circa 3.418 casi

nuovi di carcinoma del collo dell’utero e 1.186 decessi. Come mostrano i dati dell’Associazione

Italiana Registro Tumori nel rapporto 2006, l’andamento dell’incidenza e della mortalità mostra una

tendenza costante alla riduzione. L’incidenza passa da 9,7 a 8,1 casi per 100.000 donne/anno, mentre

la mortalità passa da 1,6 a 1 caso per 100.000 donne/anno, rispettivamente nel periodo1988-1992 e

nel periodo 1998-2002. La diminuzione dell’incidenza è a carico sostanzialmente delle forme

squamo-cellulari, mentre si osserva una tendenza all’aumento degli adenocarcinomi.

Metodologie Diagnostiche

1. Citologia: le cellule epiteliali della cervice uterina infettate con HPV comunemente mostrano

alterazioni citologiche e istologiche dovute a un distintivo effetto “citopatico virale”. La citologia

 

cervico-vaginale, più comunemente conosciuta come striscio vaginale o Pap test, è un test di

screening per il cancro del collo dell’utero. Fu introdotto nella pratica clinica nel 1949 da George

Papanicolau. Il Pap test permette di identificare le lesioni precancerose e il cancro del collo

dell’utero. La terminologia per classificare le alterazioni del Pap test si è sviluppata e modificata

nel tempo. Oggi la diagnosi citologica delle cellule cervico-vaginali viene fatta seguendo il

Sistema Bethesda (TSB) del 2001, che stabilisce una terminologia diagnostica uniforme e capace

di favorire la comunicazione tra laboratorio e clinico. Tra le anormalità delle cellule squamose è

compresa la lesione squamosa intraepiteliale, SIL, che descrive tutto lo spettro dei precursori del

carcinoma invasivo associati ad HPV. Lo spettro di questi precursori, nel sistema TSB, è

suddiviso in lesioni di basso grado LSIL (Low-grade Squamous Intraepithelial Lesion) e lesioni

di alto grado HSIL (High-grade Squamous Intraepithelial Lesion).

a. LSIL: la struttura dell’epitelio di origine è ben conservata; include la displasia lieve, il

condiloma piatto e le CIN1. La categoria delle cellule squamose include le ASC-US

(cellule squamose di significato indeterminato). Questo gruppo comprende uno spettro di

modificazioni cellulari e riflette i limiti dell’interpretazione al microscopio ottico delle

alterazioni borderline. Si osservano degli ingrandimenti nucleari e anomalie

citoistologiche di incerto significato, insufficienti per formulare una diagnosi certa di

lesione. Le condizioni istologiche che possono presentare questa difficoltà sono:

l’iperplasia delle cellule basali, la metaplasia squamosa immatura, la metaplasia squamosa

atipica, la riparazione (alterazioni epiteliali reattive), stati di basso estrogenismo, atrofia

ed epitelio sottile. In modo analogo per la componente ghiandolare è stato coniato il

termine AGUS (cellule ghiandolari atipiche di significato indeterminato).

b. HSIL: l’epitelio di origine è stato sostituito da cellule anormali di dimensioni più grandi.

Mostrano alterato il rapporto nucleo citoplasma, i nuclei sono ingranditi e irregolari.

Anche se la citologia rappresenta il prototipo diagnostico delle campagne di screening del

carcinoma della cervice, tuttavia per la sensibilità non ottimale e per la scarsa accuratezza

diagnostica nel discriminare le lesioni a basso rischio oncologico deve essere affiancata da una

metodica di secondo livello (livello successivo di approfondimento diagnostico) come colposcopia,

biopsia o ricerca del DNA virale dell’HPV.

2. Colposcopia: è un esame eseguito mediante uno strumento ottico denominato colposcopio

(costituito da una sorgente luminosa e un sistema di lenti) ed alcuni reagenti chimici (acido

acetico e soluzione iodo-iodurata di Lugol), consente di osservare, ad ingrandimento e con

un’intensa illuminazione, la superficie della vagina e dell’esocervice. Tale metodica è in grado di

evidenziare le lesioni presenti e permette di effettuare una biopsia mirata.

3. Istologia: le alterazioni citopatiche virali sono state descritte per la prima volta nel 1956 con il

termine di “atipia coilocitotica” per la loro somiglianza istologica alle comuni verruche cutanee.

Solo venti anni dopo queste alterazioni cellulari sono state correlate ai condilomi piatti della

cervice e in stretta associazione con l’infezione da HPV e le lesioni precancerose della cervice

uterina (CIN). I coilociti sono cellule comunemente situate negli strati intermedi dell’epitelio con

un ben definito alone chiaro perinucleare con conseguente condensazione e marginalizzazione

del citoplasma. I nuclei, non chiaramente displastici e privi di nucleoli, mostrano comunemente

un ingrandimento nucleare di due o tre volte rispetto alle cellule intermedie, irregolarità della

membrana, ipercromasia. Altre caratteristiche associate all’infezione da HPV sono le

binucleazioni e i meganuclei presenti negli strati superficiali ed intermedi dell’epitelio della

cervice. I coilociti sono la norma delle CIN 1 diventando meno evidenti nelle lesioni di alto

grado CIN2 e CIN3. La nomenclatura usata per descrivere istologicamente le condizioni

precancerose della cervice uterina sono sottoposte ad un continuo dibattito per una sempre

migliore definizione degli eventi patogenetici trasformanti che da epitelio normale portano al

carcinoma. La suddivisione dei vari gradi di CIN si basa essenzialmente sull’analisi delle

anomalie nucleari, dell’attività mitotica e della differenziazione e stratificazione degli epiteli.

a. CIN 1: nel CIN 1 i due terzi della stratificazione dell’epitelio mostra una sostanziale

differenziazione sebbene nuclei atipici possano essere presenti nello spessore dell’epitelio.

In questa categoria le caratteristiche diagnostiche sono concentrate in una piccola porzione

dell’epitelio vicino agli strati basali. Le mitosi sono rare e confinate nella parte basale

dell’epitelio e le alterazioni cellulari sono concentrate nella parte inferiore dell’epitelio con

alterazioni cellulari simili all’infezione da HPV o al condiloma piatto.

b. CIN 2: solo la metà dell’epitelio mostra differenziazione e maturazione, le anomalie

nucleari sono più pronunciate rispetto al CIN 1 sia quantitativamente che qualitativamente,

con nuclei pleomorfi e irregolarità della membrana nucleare. Le figure mitotiche possono

spingersi dallo strato basale fino ai 2/3 dell’epitelio.

c. CIN 3: è assente ogni differenziazione maturativa in quasi tutto lo strato dell’epitelio e se

presente è focale e limitata agli strati più superficiali. I nuclei sono marcatamente

ingranditi e pleomorfi con forme anche bizzarre, ipercromatici, mostrano un indice

 

mitotico molto prominente, con mitosi atipiche anche localizzate nell’epitelio squamoso

superficiale.

4. Test Molecolari: la diagnostica per la ricerca e la tipizzazione degli HPV si basa principalmente

sulla ricerca del DNA virale con metodiche di tipo molecolare. Tre principali metodiche possono

essere utilizzate:

a. Ibridizzazione diretta: utilizza sonde opportunamente marcate che si legano in modo

specifico, in determinate condizioni di temperatura e concentrazione salina, a sequenze

omologhe contenute nel campione da analizzare;

b. Amplificazione del segnale: la metodica non radioattiva più conosciuta si basa su una

ibridazione in soluzione con mix di sonde per diversi tipi di HPV; Il principio

fondamentale di tale sistema è che il DNA di HPV, se presente, si lega con specifiche

sonde a RNA, creando degli ibridi RNA-DNA molto stabili. Questi ibridi vengono catturati

da anticorpi universali legati ad un fase solida (micropiastra). I complessi così formati

vengono evidenziati con anticorpi monoclonali coniugati alla fosfatasi alcalina. Il segnale

che ne risulta è amplificato di almeno 3.000 volte e viene evidenziato con un substrato

chemioluminescente e misurato da un luminometro.

c. Amplificazione del target: la PCR (Polymerase Chain Reaction) è un’amplificazione

enzimatica in vitro di una definita sequenza di DNA.

Immunità

Il sistema immunitario riveste un ruolo importante nel controllo delle infezioni da HPV. Sia la

risposta immunitaria umorale che quella cellulo-mediata sono essenziali per la clearance delle

infezioni cervicali associate ad HPV. A livello dell’epitelio della cervice uterina troviamo:

_ Le cellule di Langerhans epidermiche (LC);

_ I cheratinociti;

_ Le cellule endoteliali del derma;

_ Le cellule dendritiche (DC) dello stroma.

La risposta immunitaria indotta dall’infezione da HPV comprende quella innata, che coinvolge

macrofagi, neutrofili e citochine, quella adattativa, sia di tipo umorale che cellulo-mediata. Una volta

avvenuto il contatto Antigene-LC, quest’ultima processa l’antigene, matura e migra verso i

 

linfonodi, dove presenta l’antigene in contesto MHC II ai linfociti T CD4+, che sono la chiave

dell’attivazione dell’immunità specifica. Numerosi studi hanno dimostrato che i linfociti T CD4+

riconoscono sia prodotti di geni precoci che tardivi; quale dei due tipi viene presentato dipende dalla

capacità della molecola MHC nel legare l’uno o l’altro antigene.

Risposta Umorale: le cellule B mature rilasciano anticorpi antigene-specifici. La

neutralizzazione è mediata da IgG sieriche e da IgA secretorie, quest’ultime rivolte verso

antigeni di superficie del virus al fine di bloccare l’ingresso nelle mucose e prevenire nuove

infezioni. Gli anticorpi circolanti e il complemento possono opsonizzare ed agglutinare le

particelle virali, facilitando la fagocitosi da parte dei macrofagi. Gli anticorpi non sono

sempre in grado di eliminare il virus, soprattutto quando esso entra in uno stato di latenza, in

cui il DNA virale è integrato in quello cellulare. L’intensità della sieroconversione dipende

dalla carica virale e dalla sua persistenza. Non è chiaro se la risposta anticorpale sia

sufficiente a proteggere dall’infezione e se tale protezione sia duratura.

Risposta cellulo mediata: la clearance di un’infezione naturale da HPV è promossa da una

risposta immunitaria cellulo-mediata. I linfociti T CD4+, a seconda dell’antigene riconosciuto

si differenziano in Th2 o in Th1. Th2 rilascia IL-4, IL-10 ed altre citochine che attivano la

risposta umorale con maturazione dei linfociti B in plasmacellule. Th1 attiva l’immunità

cellulo-mediata rilasciando INF α che a sua volta stimola i linfociti T CD8+, i macrofagi e le

cellule natural killer (NK). Il bersaglio dei linfociti T citotossici sono le proteine precoci E2,

E6 ed E7.

Evasione della risposta immunitaria: gli HPV, in modo particolare i genotipi ad alto rischio

oncogeno, hanno sviluppato una serie di meccanismi per evadere il sistema di difesa

dell’ospite; in particolare, evasione della immunità innata e ritardo nella attivazione della

immunità adattativa. Diversi fattori contribuiscono a rendere meno efficace le risposta

immunitaria:

o Gli HPV sono virus epitelio-tropici, infettano le cellule basali e attraverso il

programma di differenziazione del cheratinocita arrivano alla superficie dell’epitelio

prima di produrre le particelle virali. Come conseguenza non si verifica una fase

viremica, non c’è infiammazione, e i cheratinociti non rilasciano citochine proinfiammatorie;

o I tipi di HPV ad alto rischio hanno sviluppato meccanismi di inibizione della sintesi

dell’INF e della relativa catena di segnali ed in particolare le proteine oncogene E6 e

E7 effettuano una down-regolazione dell’espressione dei geni IFNα, abolendo la via di

attivazione INFdipendente;

o Non c’è stimolo per l’attivazione delle cellule dendritiche, la loro migrazione, la

presentazione e la processazione dell’antigene.

Terapie

Gli obiettivi delle terapie verso le patologie associate a HPV sono: l’eradicazione delle infezioni, la

guarigione dei sintomi e la prevenzione delle re-infezioni. Le terapie attualmente disponibili hanno

 

raggiunto questi obiettivi solo in parte; infatti, non si tratta di terapie antivirali specifiche, ma di

trattamenti ablativi che non risolvono l’infezione virale e il problema della trasmissione.